sabato 30 maggio 2009

Un atterraggio 'indimenticabile'!

Chi di voi ha mai fatto un atterraggio su un bimotore da 30 posti, seduta sui braccioli dei piloti, senza cintura allacciata e con uno dei due che...fumava una sigaretta! Atterraggio su una piccolissima pista. Ebbene può succedere ed è successo in un lontano paese della penisola araba...circa 40 anni fa.
Da Addis Abeba dovevo trasferirmi a S... e tramite amici, trovai un passaggio gratuito contrabbandato come 'prova di hostess'  (felicissima perché in quel tempo non avevo disponibilità di denaro), su una piccola linea aerea locale. La 'scaletta' per entrare nel velivolo era una autentica scaletta: intendo dire che era una scala piccola di metallo di tipo casalingo. 
Consegnai brevi manu la mia valigia, alquanto grande, e salii anche io, dopo un signore con tanto di pugnale (djambia) addosso (del resto faceva e fa ancora parte dell'abbigliamento normale degli uomini nel paese dove stavo per andare) e la sua pecora (o montone, non ricordo, ma assicuro che trattavasi di quadrupede). Mi seguì un altro distinto signore, stesso abbigliamento del primo, con samovar al seguito. Beh, meglio il samovar che la pecora, pensai, ma ancora non sapevo cosa sarebbe successo.
Il piccolo aereo decollò e il mio sedile non era molto ben ancorato al pavimento: poco male, con un cartoncino o similare si riuscì a fissare; cercai la cintura di sicurezza: ve ne era solo un pezzo.
Beata incoscienza di una giovane ricercatrice: mi stavo divertendo.
Ci fu anche il servizio a bordo: thé caldo con biscotto...realizzato usando il samovar, gentilmente prestato dal passeggero, con fornelletto, stile campeggio d'epoca, parte dell'attrezzatura di bordo. Prima tappa: T.; ... scesero tutti e vennero fatte scendere anche le valigie dei passeggeri, che erano stivate dietro di noi. Distratta dalla discesa del quadrupede, che non ne voleva sapere di fare tre gradini (ma fu amorevolmente preso in braccio dal suo padrone) non mi accorsi subito che gli addetti (!?) ai bagagli nel loro zelo lavorativo, avevano preso anche la mia valigia. Mentre rullavamo me ne accorsi e in modo concitato dissi in inglese ai piloti (ero rimasta l'unico passeggero) che bisognava riprendere la mia valigia. Nulla di più semplice: il velivolo si fermò, uno dei piloti urlò qualcosa in arabo e vidi un ansimante giovinotto (con jellaba bianco-grigio) trascinare il mio bagaglio che fu issato a bordo con fatica da me (il cosiddetto steward aveva terminato il proprio turno): del resto ero 'in prova' come hostess. Decollammo e dopo poco tempo fummo in vista della splendida capitale. Mi fu chiesto in inglese se volevo vedere come si atterra. Due braccioli dei piloti furono uniti per farmi stare seduta e poiché non ero in equilibrio, mi dovetti reggere abbracciando le spalle di coloro che mi dovevano portare in salvo a terra e arrivammo sani e salvi. Trovai all'epoca avventuroso e interessante vedere un atterraggio così da 'vicino'. Aperto il portell...ino, un'ondata di aria desertica mi fece subito capire dove ero arrivata. Formalità di dogana ridotte al minimo: ero ospite di un mio laureato a Perugia, che era il figlio di un importantissimo personaggio locale. Quello che mi turbò un pò fu la scorta: barbutissimi signori armati e con munizioni a tracolla stile bandoliera. Il giorno prima c'era stato un attentato di matrice politica e quindi...meglio prevenire che reprimere. Del resto avrei capito dopo che di stranieri in quella terra in quel momento eravamo solo in due, io e un inglese (del quale non ho mai capito la presenza in loco), che si trovava peraltro in un'altra città. Lo avrei incontrato successivamente e avremmo fatto un altro 'indimenticabile' viaggio insieme su un tassì per più di duecento chilometri. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.
Arrivata in loco e ospitata in casa privata, dove avrei capito come si viveva nel medioevo da quelle parti, doverosamente mi presentai alle nostre Autorità consolari (un giovane cancelliere con una deliziosa moglie). Premesso che ove abitavo, non esisteva doccia o vasca da bagno, appena andavo a casa di questi giovani amici italiani, la prima cosa che mi veniva offerta, dopo il classico bicchiere di acqua, era l'uso voluttuoso della sala da bagno con annessa vasca. Ho sempre pensato che, causa caldo, i miei ospiti italiani pensavano prima al mio benessere fisico che a quello spirituale! Attenzione che poi avrebbe giovato anche al loro olfatto.
Fu un mese speciale. Fui trattata con grande ospitalità, quella araba, splendida: fu il mio primo incontro con questo modo di ricevere gli ospiti, sia sotto una tenda sia in un palazzo, sia in una modestissima casa. Mi sentivo quasi una regina ...e in effetti mi diedero un soprannome 'malika' (regina), perché stabilirono che io portavo la 'baraka', la buona sorte. Dopo anni che non avevano visto una goccia di pioggia, il giorno del mio arrivo...'tanto tuonò che piovve', peraltro assai poco: i miei occhi azzurri da maga avevano fatto il miracolo. La pioggia, sia pur breve e risicata, era stata un avvenimento. Da quel giorno dico sempre ai miei amici: guarda che porto la buona sorte..e qualche volta accade davvero!
Andai in vari posti...tra deserto e altopiani. Ricordo ancora il profumo e il gusto dell'acqua di rose e di una specie di gelato fatto con le rose: anche questa sensazione è indimenticabile! Quel medioevo aveva un suo grande fascino.
Ora molti turisti visitano questo stato, apertosi al mondo esterno: allora nessuno ci andava. Io lo ricordo con l'occhio della memoria delle tante avventure di conoscenza che ebbi. Ho nostalgia? Sì, della meraviglia che provavo in ogni momento; tutto era nuovo ai miei occhi e mi aiutava a tornare a vivere: lo capii appunto sotto gli eucalipti di Addis Abeba, quando mi fu chiaro che, nonostante quel che avevo passato di profondamente doloroso e per alcuni versi annichilente, avevo tutta la vita in mano. E capii anche che la curiosità mi stava salvando... e continua sempre a salvarmi, dopo qualche prova difficile che la vita ci offre o che abbiamo con incoscienza cercato.
Sto tornando lì vicino, dopo numerosi lustri e spero che il mio lato 'infantile' , che curo affinché non scompaia mai, dispensi ancora tanta meraviglia nei miei occhi e che di nuovo diventino quelli di un bimbo al suo primo viaggio. 
Genio esci dalla Lampada di Aladino: ti porto con me nei tuoi luoghi natii. Fammi sognare: ne ho bisogno, come tutti gli esseri umani.
Firuzeh

 


martedì 26 maggio 2009

Un deserto dell'anima: la rabbia


Avete mai avuto un senso di impotenza che si concretizza in rabbia? A volte si deve cedere, ma se cedi di fronte ad una persona che stimi e ammiri, riesci a farlo senza che ti cresca questo sgradevole sentimento dentro. Il problema invece si pone quando devi cedere di fronte a chi non stimi affatto. E allora è molto dura. La rabbia ti procura una desertificazione dei tuoi sentimenti fino ad arrivare ad una aridità della quale non ti rendi conto, perché quel sentimento s’impone e oscura tutti gli altri. Quando comprendi questo mutamento ‘ambientale’ del tuo io, ti spaventi e cerchi di por rimedio facendo un’analisi seria, cercando di capire perché hai tanta rabbia in corpo. La imputi a quell'ombra che è dietro chi stimi e ammiri, e credi che sia l'ombra a costringerti a cedere. Invece non ti accorgi che chi ti provoca la rabbia non è quell’ombra che pilota tutto. È proprio chi è pilotato all’origine vera della tua rabbia perché con connivenza e ben nascosta fragilità lascia l’ombra pilotare il suo strano universo, del quale si lamenta sempre, ma che accetta,. Lo fa per costume? Per dovere sociale? Per debolezza? Per quieto vivere? Per quale altro motivo? Eppure si lascia indicare quasi tutto e segue la strada che l'ombra profondamente egoista e profittatrice indica. E quindi la stima per questa persona debole scende, scende inesorabilmente. E accanto alla rabbia allora si affaccia la delusione di aver sbagliato ancora una volta la valutazione di un essere umano, di non aver capito una parte di quella persona ben occultata. Spesso alla rabbia si sostituisce una umana compassione e la pena per chi lascia pilotare agli altri la propria vita, in modo da farsela rendere difficile, agra e qualche volta impossibile...altri che non si curano della sua vita, a proprio esclusivo beneficio di matrice egoista.

I più giovani non conoscono un cantautore molto famoso alla fine degli Anni Settanta, Stefano Rosso, poi dimenticato. Morì poco tempo fa e si ritrovarono i suoi dischi digitalizzati..sulle bancarelle. Stefano Rosso accompagnò una mia lunga permanenza in Francia. Tra le sue belle canzoni testimonianza di un'epoca particolare in Italia, vi è 'Bologna 77', forse la più poetica di quelle che ha scritto. Nel testo: '...e poi primavera...e qualcosa cambiò..

qualcuno moriva e su un ponte lasciò,

lasciò i suoi venti anni e qualcosa di più....

e dentro i miei panni la rabbia che tu

da sempre mi dai, scavando nei pensieri miei,

guardandoli poi dall'alto all'ingiù,

ma forse io valgo di più...'

Penso spesso a queste parole: non so se valgo di più; certamente no... Forse solo la pena e la compassione cancellano la rabbia facendo rifiorire un deserto dell'anima. Due rose nel deserto, le rose di Shiraz, le rose del poeta Hafez e quelle di Omar Khayyam, sotto il Sio-Se Pol (il Ponte delle trentatre arcate) e di fronte a Chehel-Sotun o Quaranta Colonne (venti sono quelle vere che raddoppiano rispecchiandosi nello specchio di acqua antistante). La rabbia è svanita nell'incanto delle faience della cupola della Madrasseh-Madar-e-Shah o del mausoleo di Soltanieh, nell'arida piana di Zanjan in Iran. Il cielo di Shiraz è di un azzurro speciale e l'aria è frizzante: domani me ne andrò in un caravanserraj nel deserto e tutto sarà dimenticato.

Firuzeh





domenica 24 maggio 2009

Un sogno

Ho portato con me la Lampada di Aladino nel deserto ma il Genio mi ha fatto uno scherzo, un brutto sogno: vedo un maelstrom, un gorgo. No, sono sabbie mobili: io sono sul bordo della zona pericolosa cercando di evitare di farmi risucchiare dentro, ma vedo il viso di un amico che mi chiede aiuto. Sta sprofondando. Gli tendo una mano, un braccio; lo prende, ci si avvinghia, almeno così mi sembra. Per un certo periodo di tempo evito che sprofondi ancora; con sforzo cerco di tenerlo e di riportarlo sui bordi. Scivola di nuovo. Gli tendo una lunga pertica; sono lontana, ma l'afferra. Però qualcosa o qualcuno continua invece a trascinarlo giù, sempre più giù. Ora la sabbia gli lambisce la vita, sale inesorabilmente. Il mio amico potrebbe con uno sforzo imperioso salvarsi, ma non ne ha la forza: forse non vuole; mi guarda e lascia andare la pertica. Ha deciso di non ribellarsi a un destino che forse avrebbe voluto diverso, ma che si è creato con le sue mani: quisque faber della sua vita. Debolezza? Rassegnazione? Non lo so. Continua a scendere senza lottare: ora è in fondo al gorgo, non più sulle sabbie mobili; e io sono ai bordi del maelstrom; sta scomparendo; qualcuno lo tira inesorabilmente verso il fondo, nonostante il mio aiuto. Me lo aveva chiesto, questo aiuto, almeno così avevo creduto; ora lo respinge. Vedo i suoi occhi scuri e profondi che mi guardano a lungo con intensità, ma con rassegnazione. Scompare nei flutti e...la sabbia lo ricopre cancellando le tracce di quel che era il mio ricordo. L'amico è scomparso... Il dolore per la sua sparizione mi sembra insopportabile e il mio cuore forse si sta troppo affaticando.
Mi sveglio e mi chiedo se era solo un sogno.
Firuzeh

sabato 23 maggio 2009

un ritaglio di giornale

Difficile mettere a posto tante carte e tanti documenti, ma di tanto in tanto ci si riesce almeno in parte. Ieri ho ritrovato tutta la cartella dei ritagli di giornale del gennaio, febbraio 1979: giornali locali stampati a T...... e ho visto una foto, di quelle tremende: chiare e nitide. Un uomo crivellato di colpi su una lastra di acciaio. Serve ai vincitori pubblicare tali foto per assicurare il popolo che i 'tiranni' sono stati eliminati. E allora ho avuto un ricordo...l'ultima volta che avevo visto quell'uomo vivo. 
Una splendida giornata di sole: un concorso ippico a ostacoli fra due team. Uno di quegli incontri di amicizia 'fra i popoli', difficile peraltro soprattutto quando una squadra, quella ospitata vince a man bassa tutte le gare. Quella locale le avrebbe vinte tutte se si fosse trattato di abbattere gli ostacoli e non di superarli: tanto che noi, rozzi sostenitori della nostra squadra, ci chiedevamo ironicamente che forse non era stato spiegato a quella ospitante che in simili tornei bisognava che il cavallo saltasse gli ostacoli e non li abbattesse...e continuavamo sempre con ironia corrosiva divertendoci un poco malignamente alle spalle dei cavalieri locali.
Facevamo un tifo piuttosto rumoroso, tanto che il sovrano regnante, esattamente situato di fronte al gruppetto vociante, aveva chiesto al rappresentante diplomatico, chi fossero quei giovani esuberanti...ricordo che pur avendo diritto alla tribuna d'onore - certamente in ultima fila - avevo optato per l'anonimo posto sulle scalinate...allo scopo appunto di essere libera di esprimere il mio entusiasmo per la mia squadra; entusiasmo notato anche da chi forse non lo doveva notare...mi costò una reprimenda del mio Capo e quindi ad un ricevimento, forte della mia giovane età, dell'occhio azzurro (rarità in quelle lande) e del capello lungo e biondo, presentai delle mezze scuse al Presidente della squadra ospitante; scuse galantemente accettate.
Ci fu la premiazione: i nostri, per savoir faire, riuscirono a far vincere uno o due coppe agli 'altri', rallentando i cavalli; distruggendo a fatica qualche ostacolo e facendosi penalizzare per rifiuto ......del cavallo di superare l'ostacolo, indotto 'ad arte' da un cavaliere professionista.
Alla fine, giro di campo delle squadre per salutare le Autorità e il pubblico. Per farmi perdonare, quando passò la locale, mi alzai in piedi, battendo forte con i piedi sul pavimento di legno della tribuna  gridando 'bravi, bravi!!!' , mentendo sapendo di mentire, ma 'noblesse oblige' e lo sguardo, che immaginavo minaccioso, del mio Capo, 
Manoucher K., comandante dei paracadutisti, su un bellissimo purosangue e Nader J., Capo di Stato Maggiore dell'Aviazione,  su un altrettanto splendido cavallo grigio si fermarono e mi salutarono militarmente sorridendo. Il nostro gruppo si unì a me per salutarli con forti applausi. Ci facemmo perdonare. Io ricevetti il primo di numerosi saluti militari che avrebbero poi caratterizzato una parte della mia vita. Una giornata di sole. Allegria e serenità. Gioventù. Non sapevamo che cosa stava per succedere.
Fu l'ultima volta che vidi ambedue vivi. Manoucher K. si era lasciato prendere nella 'Città delle Rose', eppure avrebbe potuto combattere...Finì giustiziato con Nader J. sul tetto di una piccola casa nei sobborghi di T....senza processo o quantomeno una farsa di processo sommario. Avrei perduto altri amici e conoscenti. Il mio primo vero incontro con Lei, la Signora: ma la vidi solo da molto lontano. E iniziai a capire che nella vita non c'è solo la giustizia.
Manoucher e Nader: vi voglio ricordare così, nel sole, sui vostri cavalli. Avete forse errato, ma ormai è tutto 'livellato', come avrebbe detto il principe Antonio de' Curtis...
Firuzeh


venerdì 15 maggio 2009

Caravanserraj

Il ricordo del percorso per arrivarvi si è sfumato perché ha prevalso un altro ricordo, molto più potente e prepotente. Deserto Centrale in Iran: un gruppo di trentenni, quarantenni, molto affiatato. Un egiziano, due spagnoli, due greci, una coppia tedesco-egiziana, due svizzeri, un tunisino, una italiana, due iraniani: insomma il Mediterraneo unito, la scoperta delle affinità elettive (soprattutto nelle tradizioni letterarie, artistiche e culinarie) che aveva cementato giovani e meno giovani. Land Rover, tutte targate corpo diplomatico. All'imbrunire, percorso calcolato come nei secoli passati, ci siamo fermati in un vecchio caravanserraj, che era appena stato molto spartanamente riattato per accogliere, come nel passato, viaggiatori di quelle terre: noi arrivammo con le Land...moderni cammelli e dromedari di carovane vocianti.
Non c'era luce elettrica: grandi fuochi accesi nel cortile e nelle 'cellette' solo una candela e una brandina da campo. Dopo un buon 'chelo-kebab' molti intorno al fuoco a...giocare a carte.
Io me ne andai zitta zitta sul tetto del caravanserraj perché come al solito avevo bisogno dei miei dieci minuti di solitudine: non avevo però ancora scoperto il senso del deserto. Fu su quel tetto, da sola, seduta con le gambe incrociate, che iniziai forse a capire...
Notte senza luce elettrica; cielo scintillante di luci stellari. Sotto, intorno al fuoco, le voci che per me lentamente sparirono. Non le sentivo: si allontanavano sempre più fino a che io raggiunsi la sensazione del silenzio più totale. Ascoltavo solo la voce del deserto, sussurrante quella volta, soave: mi sentivo leggera. Era come se fossi uscita da me stessa e mi guardassi da fuori: parte integrante di quella realtà forse onirica. Mi ero fusa con il deserto, con la sua voce, con il suo cielo di luce. Ricordo di aver provato una grande serenità per essere immersa in quella calma totale. Continuavo a osservarmi con attenzione, immobile come ero, incastonata in luogo senza tempo, una figura minuta rispetto ad una immensità che poteva annullarti o darti il senso dell'appartenenza, dell'identità ancora cercata.
Non so quanti minuti ...o ore.. passai così: avevo perduto completamente la nozione del trascorrere del tempo. Ad un certo punto tornai a sentire delle voci che mi chiamavano con ansia; dovetti tornare in me:  un amico egiziano mi raggiunse sul tetto e affannosamente mi disse che erano tutti preoccupati perché non avevo risposto: temevano che fossi uscita dal serraj e mi fossi perduta nella notte. Li vidi anche un pò seccati della mia 'sparizione'. Ho fatto una fatica tremenda ad assumere un'aria contrita scusandomi. Sono scesa: me ne andai nel mio cubicolo a dormire. 
Quella notte ho stabilito una alleanza personale con il deserto, con i deserti. Sento imperiosa a volte la loro voce che mi chiama e mi invita a ritrovare la mia identità smarrita, dopo errori, dolori e delusioni, promettendomi che mi darà sempre quel conforto che cerco e che trovo solamente in loro compagnia. Ho bisogno di voi, dei miei deserti: voi mi ridate sempre la mia serenità che oggi mi manca. 
Firuzeh


martedì 12 maggio 2009

una sera sull'Eufrate

Quella sera, una sera senza storia, eravamo in tre seduti su uno scalino...guardavo il cielo e le stelle.  Intorno a noi finalmente silenzio, quello che io desideravo, soprattutto la sera, per raccogliere le mie impressioni e sentire quell'atmosfera che già avevo conosciuto in un ambiente simile tanti anni prima. Mi piaceva ascoltare la voce del muezzin che salmodiava chiamando i fedeli alla preghiera della sera, per me era una voce conosciuta, direi quasi amica. Per altri era un fastidio, la sentivano come una minaccia; per me non lo era. Mi rendevo conto che avevamo una sensibilità diversa dovuta a vite maturate in modo differente. I due accanto a me parlavano di argomenti assai seri e io ascoltavo con un orecchio solo, perché l'altro era impegnato a cercare di sentire silenzi...anche se dall'altra parte del fiume di tanto in tanto arrivavano echi di musica. E poi i miei occhi di nuovo scrutavano il cielo. Mi sarebbe piaciuto starmene da sola ma il contesto voleva che non mi alzassi da quel gradino, o forse l'educazione non mi permetteva di alzarmi e dire, signori, io me ne vado a passeggio per i fatti miei. In fondo loro erano lì per fare compagnia a me...quasi tutti gli altri erano al di là del fiume, da dove veniva la musica.
Le altre sere avevo amato di più il muezzin e l'incanto del salmodiare in arabo classico. Quella sera c'era qualcosa che non andava per il verso giusto, un lieve disagio del quale credevo di sapere la ragione per puro istinto di chi ha vissuto realtà di quel mondo. Solo il cielo cobalto mi rasserenava e spesso con aria falsamente distratta guardavo in sù e comunque ero esonerata dall'interloquire perché ciò di cui i due parlavano non era strettamente di mia competenza, anzi non lo era affatto. Era più opportuno far credere di ascoltare diligentemente...mentre cercavo di capire quel che veniva detto nella preghiera della sera: si sentivano tutte le parole, essendo gli altoparlanti della moschea rivolti verso di noi, ma la mia minima conoscenza della lingua mi faceva solo afferrare qualche rara parola. Mi era però facile distinguere il salmodiare dalla 'predica'.
Spesso guardavo anche il fiume: strano, lo sentivo nemico, soprattutto di notte: ognuno di noi ha un rapporto diverso con gli elementi della natura. Quella parte di Eufrate proprio mi era ostile. Perché? Non lo saprò mai. Dovrei tornarci per capire. Non potrò, non credo.
Quella sera non riuscivo a concentrarmi, non so ancora perché, forse erano i due che pur ragionavano di fatti importanti...le altre sere ero riuscita a ritagliarmi dieci minuti da sola con i miei pensieri e il mio deserto ai bordi della città, verso il quale andavo sempre le mattine successive a scoprire, a capire, a sentirmi soprattutto parte di esso.
Quella fu l'ultima di una sera senza storia in quel luogo.
Firuzeh

domenica 10 maggio 2009

una Signora

Signora, ho di Lei una visione molto lontana, anche se l'ho vista in faccia. Erano le 9.30 di un mattino normale, senza storia. Mi disse bruscamente di allontanarmi. Non sapevo chi Lei fosse e comunque ubbidii, portandomi con me altre quattro persone. Passammo una mezz'ora splendida in mezzo a tante tavolette sumere rotte, a pezzi, sepolte nella sabbia; erano tante e le calpestavamo. Ho dovuto lottare tra la voglia di prendere un pezzo e metterlo di soppiatto nella tasca del pantalone tecnico e la coscienza di cittadino responsabile di  lasciare quei reperti comunque importanti anche se a pezzi, pezzettini, là dove erano e dovevano restare. Non faceva tanto caldo e la sabbia non si alzava. Una grande emozione essere lì: un momento particolare per chi ha grande rispetto per le civiltà antiche; un cielo limpido e l'impressione di entrare in una 'biblioteca' un pò speciale, così come sarebbe entrare nella 'Villa dei Papiri'...; calpestare una biblioteca mi sembrava quasi un sacrilegio. Ancora tanta emozione, forse troppa, e un senso di strano disagio.
Riflettendo su quel che avevo visto, rientrando per andar a prendere notizie sui rinvenimenti archeologici già fatti e, di certo, anche un buon caffé (avevo un appuntamento...) sentii un ronzar continuo di elicotteri, minaccioso non gioioso, sempre maggiore il rumore, una colonna di fumo, la radio che gracchia, una corsa folle verso la colonna di fumo...
Non ho mai più preso quelle informazioni; non ho mai più preso quel caffé; non ho mai più potuto onorare quell'appuntamento...
Signora, lì per lì non la ringraziai di avermi ingiunto di andarmene. Avrei voluto essere lì da Lei, con Lei: mi avrebbe risolto tanti problemi.
Oggi, Signora, capisco che non ero nel Suo elenco, almeno per il momento. 
Mi sono adeguata al Suo volere, ma si ricordi anche Lei che l'ho vista in faccia e che non voglio aver paura di Lei. Ho fatto tante altre esperienze anche se a volte la stanchezza si fa sentire soprattutto quando ti accorgi di aver fatto tanti altri errori che avresti potuto e dovuto evitare.
Se oggi La ringrazio? Certo Signora, Lei a volte è lungimirante ma è pesante riconoscerlo! 
Non ancor Sua, Firuzeh.


sabato 9 maggio 2009

Pausa week end

Oggi Genio non risponde...forse è in pausa week end. La Lampada di Aladino sembra spenta. Siamo off fino a lunedì mattina...dice una antipatica vocina sintetizzata. Eh, no, mio caro Genio, mi risulterebbe che il tuo contratto di lavoro preveda una operatività ad H24.  Però forse hai ragione: anche la vostra categoria di lavoratori ha diritto al riposo, alle ferie pagate, ai congedi parentali, quelli di malattia (tu però hai una salute di ferro da almeno due secoli, quasi): conquiste democratiche e sociali. Scusa: e quando chiudi per ferie, metti il sostituto?
Va bene, mi autogestirò. Hai lasciato uno dei tuoi flying carpets in parcheggio e poiché me ne hai dato l'uso, parto anche io. Vedo che mi hai lasciato una notina con l'itinerario che hai predisposto per me in questo fine settimana, evitando qualsiasi deserto. Potevi anche chiedere il mio parere, no? 
Iran, Khiaban-e-Manoucheri, la strada dei 'tappetari', in un negozio, dove un gentile venditore di tappeti mi indica dove 'parcheggiare' il mio mezzo, lì, lì proprio su quella pila di tappeti Nain e Khoum, dove sta seduta, gambe ciondoloni, una signora bionda. 
'Signora, scusi, mi fa posto che devo metterci anche il mio bel tappeto piegato?' Ma io questa signora la conosco e anche bene...poi scoprirò chi è, se mi ricordo...
La pila è alta e da questa si vedono bene i tappeti che il mercante mostra a tanti visitatori, tutti sistemati comodi proprio sulle pile. Tutti con un bel bicchiere di 'chai' in mano e uno o due cubetti di zucchero in bocca che gonfiano la guancia: i veri conoscitori non mettono lo zucchero a sciogliere nel té, ma si mettono i cubetti in bocca in modo che ad ogni sorso di liquido, un poco di zucchero scivola via e addolcisce una bevanda a volte amara.  Ho mantenuto questo modo di bere  il té quando sono lì, nei paraggi. Lo faccio automaticamente anche se compagni di viaggio mi fissano con lo sguardo a punto interrogativo...ritenendomi non poco maleducata.
Ogni tanto qualche gruppetto di aspiranti clienti viene invitato a scendere perché si passa alla esposizione dei tappeti proprio di quella pila. Come sono belli questi manufatti di lana e seta, ma un flash passa nella mente: li ho visti i telai a volte situati in camere senza finestre o solo con un piccolo pertugio che fa filtrare un poco di luce; altre volte invece sono in ampie camere con tanta luce...donne di ogni età, anche piccole bambine che stanno imparando come fare i nodi, un'arte antica artigianale che ha un fascino, che richiede sacrifici e che non sempre viene fatta liberamente, ma a volte è sfruttamento del lavoro minorile. Nelle tribù Kashkai non era schiavitù, era un lavoro con il quale in parte ci si sostentava, appunto una 'professionalità' da imparare e tramandare con orgoglio.
In un'ora almeno un centinaio di tappeti vengono proposti agli occhi increduli e avidi dei presenti: chi se ne intende guarda e apprezza e chi non ne sa niente, teme di comprare o compra qualcosa che domani non gli piace più. Devi sintonizzarti con un tappeto: la sua poesia è nel modo con il quale ti accarezza il piede nudo, come ti accompagna con i suoi colori; un tappeto non dovrebbe mai sentire la suola di una scarpa, ma solo le dita di un piede che si posa sicuro su un velluto di nodi. 
La signora bionda indica due articoli, belli direi; glieli caricano in macchina e lei parte ridendo.
E' ora di andare a pranzo a Meidan-e-Sabs, all'ingresso del bazar, dove fanno uno dei migliori chelo-kebab-koubideh (piatto nazionale persiano: riso in bianco, tuorlo d'ovo, burro, spiedino di carne di montone macinata con cipolla) della città, al miglior prezzo possibile, pochi rial, in mezzo a tante famiglie della piccola borghesia locale. E' lì anche lei, la bionda di prima, che conosce i proprietari, che si siede ad un tavolo comune e inizia a parlottare con i suoi vicini, compiendo il rito del giorno di festa, il venerdì. E poi si torna a casa. Domani si va in ufficio.
Genio, scusami, quando torni in servizio, mi dici cosa ci fanno i tappeti che quella  tale ha comprato, nel mio salotto? Non capisco, non ricordo...
Firuzeh




giovedì 7 maggio 2009

La lampada di Aladino

E' uno strumento prezioso, la lampada di Aladino...bisogna saperla usare, un pò come il computer, il web e...il resto. Ecco: bisogna trovare il modo di sfregarla, ma facendo uscire solo i ricordi degni di rivedere la luce. Cerco i comandi intorno alla bella e lucida lampada, quelli del 'cancella', 'torna indietro', 'salva', etc, ma mi accorgo che non ci sono pulsanti apparenti. Devo fare di necessità virtù e scoprirli a poco a poco dentro di me, dove sono stivati per default. 
Nella cartella 'immagini' vecchie foto lontane. Ma come faccio a farle uscire dalla Lampada? Genio aiutami tu! Ecco la Somalia, Mogadiscio, l'albergo 'La Croce del Sud' (se il nome ricordato è quello esatto); la Casa d'Italia: stantia, un poco fané dove però le spremute di pompelmo erano superbe: un bicchierone di succo e del ghiaccio...mi dicevano di non far mettere il ghiaccio: poteva essere fatto con acqua non proprio pulita. Ma ho sempre messo il ghiaccio nel bicchiere e probabilmente ho formato tanti di quegli anticorpi che le mie gite in Marocco e altri posti del genere non hanno conseguenze... nefaste sulla mia salute.
Attenzione Genio: stai mischiando i ricordi: i boschi di eucalipto sono ad Addis Abeba!!! Dal residence della Salcost vedevo e odoravo l'eucalipto sotto le mie finestre e un giorno vicino al periodo del Maskal, da quelle finestre, dopo tante lacrime di dolore, me ne sono sgorgate alcune di serenità: ricominciavo a vivere con il sole, l'eucalipto e il suono della Pavane Opus 50 di Gabriel Fauré. Quel che vedevo quel giorno dalla finestra mi è rimasto impresso per tanti lustri, ma si era dissolto...per default? Grazie Genio per averlo fatto uscire dalla Lampada, ma ti prego, non far uscire l'immagine dell'amico scomparso...ho ancora bisogno di metabolizzare..nella speranza forse vana che ricompaia così come sono i miei ricordi. 
Firuzeh

lunedì 4 maggio 2009

Non è facile

Non è facile iniziare una nuova avventura in rete. 
Penso ai 'miei deserti', tutti quelli che ho conosciuto e dove sono stata...e dove andrò. Non sempre sono deserti di sabbia; sono anche deserti di sentimenti, di delusioni, di amarezze; cespugli con spine, come quelli che si trovano in Somalia vicino a Mogadiscio, che in un tempo assai lontano, ti riparavano dal sole, mentre qualcuno ti chiedeva se insieme al capretto volevi la spremuta di pompelmo (rosa) o il latte di cammella. Anni luce fa.
Andrò presto in un deserto che non conosco...per elaborare un lutto: un amico perduto. Da non credersi: oltre alla mia macchina fotografica (sperando di fare i miei soliti 'controluce': rubo la luce anche attraverso  i petali dei fiori) avrò un ipod per sentire la mia musica preferita, quella che mi calma. Sono passati anni da quando per la prima volta sono stata in un deserto: ora torno con maggiore maturità e consapevolezza e guarderò di notte il cielo...è qualcosa di eccezionale il cielo nel deserto...ma su questo  vi è tanto da dire. Sono emozioni vere e forti che ti fanno sentire realmente parte dell'universo. Devo ritrovare dentro di me queste sensazioni e farle uscire. E' un magma che ribolle e non vorrei scoppiasse...meglio le colate di lava con la 'sciara' di fuoco. Firuzeh ha gli occhi azzurri e un giorno in Yemen, a Sana'a, un bambino piccolo chiese al padre 'cosa' fossi: non aveva mai visto una donna bionda con occhi azzurri. Vedo ancora il suo faccino tra lo spaurito e l'incuriosito.  Adesso è un uomo e da tempo la televisione lo avrà messo in contatto con il resto del mondo. 
Nel deserto guarderò per ore dune e sentirò la voce rassicurante del silenzio o del vento. Meglio di cento aspirine o di venti gocce di bromazepam...e l'immagine dell'amico scomparso tornerà nella Lampada di Aladino, come il Genio. Cercherò di non sfregare più la Lampada di Aladino.
Firuzeh