domenica 20 settembre 2009

Il silenzio

Cerco da sempre il silenzio; non parlo solo di quello che trovo fra i boschi o sola di fronte all'Oceano Indiano...mi riferisco anche al 'silenzio parlato'. In questi giorni sto rifiutando di vedere telegiornali e vari salotti televisivi dove, per fare audience soprattutto, si parla di quel che è successo a Kabul... Ricordo bene quella strada che si percorreva obbligatoriamente per andare o venire dall'aeroporto...ricordo il ponte dove la strada si restringeva pericolosamente. Sotto il ponte vi era il letto di un fiume molto ampio, secco, solo con alcune pozze d'acqua dove i locali lavavano ogni giorno le loro macchine. Sarebbe stato divertente fare qualche foto, ma sapevo benissimo che proprio lì non ci si poteva fermare perché l'attacco poteva essere facile. Qualcuno, un civile come me, sul mezzo, chiese appunto di fermarsi per fotografare e gli fu risposto come si doveva in modo duro non siamo in franchigia!
Quando si usciva solo con una macchina per vedere o intervistare qualcuno, le strade che facevamo erano sempre diverse, ma con altri mezzi, era difficile evitare sempre 'quella lunga trafficata strada obbligata' per certi percorsi e ricordo come era difficile evitare che nel caotico traffico afgano qualche vettura si introducesse nel convoglio militare.
Chi ci accompagnava non faceva quasi mai trapelare nervosismo, nemmeno quando andammo a visitare una prigione per consegnare alle donne che erano lì ristrette alcuni regali: eravamo un piccolo convoglio, perché poi in seguito dovevamo recarci fuori Kabul. Il Direttore del carcere non era presente, nonostante fosse stato avvertito in precedenza. Siamo stati fermi ad aspettarlo per una mezz'ora circa. Come al solito non parlo mai in queste circostanze per pudico timore di dire sciocchezze 'militari', ma ricordo bene che passai quella mezz'ora con nervi a fior di pelle: quell'attesa di un qualcuno che era stato avvertito del nostro arrivo, mi piaceva assai poco, ma come al solito mi dicevo che..avevo una fantasia troppo attiva. Parlo una delle lingue degli afgani e cercavo disperatamente di comprendere quel che si diceva. L'interprete locale parlava un inglese molto approssimativo e per quel poco che io riuscivo a capire, non mi sembrava proprio che traducesse tutto e letteralmente.
Arrivò poi il Direttore, con una divisa nuova o quasi di zecca, del tipo rutilante come un albero di Natale, e allora capii forse l'origine del ritardo.... Entrammo nelle carceri e tirai un sospiro di sollievo.
Oggi che nella mia mente si affollano tanti ricordi cerco il silenzio. Non guardo la televisione; non riesco quasi nemmeno a parlare con chi condivisi tante esperienze.
Domani è un altro giorno, ma la cicatrice si è riaperta e il dolore affatica di nuovo il mio cuore.
Firuzeh


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