sabato 5 dicembre 2009

Un orsacchiotto di peluche


Oggi torno in Italia dopo 5 settimane di studio nel Maryland e mi accorgo che è stata una esperienza eccezionale sotto molti punti di vista: scientifico senza dubbio, ma soprattutto umano. E ..anche climatico! Il sole dei giorni scorsi ha ceduto il passo ad una nevicata che ha imbiancato tetti e aiuole. Così nel giro di poche settimane ho sperimentato le 'quattro stagioni'.
Ho vissuto in albergo e mangiato tutte le sere al piccolo pub dell'albergo stesso. Ho spesso parlato con gli addetti, tutti giovani afro-americani, iniziando a conoscere meglio una parte di questo mondo. Sono diventati la mia 'famiglia' per queste settimane. Dopo un silenzio spesso protratto per tante ore in archivio, la mia voce è sempre uscita roca, ma per fortuna non dovevo solo ordinare cibo e bevande, ma ho potuto, in assenza di altra clientela, verso la fine della serata, scambiare impressioni con questi giovani. E così a mano a mano li ho conosciuti meglio. Ieri sera, la mia ultima lì, mi hanno fatto una sorpresa: un tavolino apparecchiato con una bella tovaglia bianca (non usa in questo tipo di locali) e sopra un delizioso piccolo orsacchiotto di peluche e un bellissimo cartoncino natalizio con tutte le loro firme. Il loro supervisor mi ha accompagnato al tavolo...e sono stata loro ospite per la cena! Ma si sono commossi anche loro quando ho mostrato quel che avevo scritto su questo blog in inglese appunto per far comprendere quel che intendevo dire loro nel ringraziarli. E non sapevano che avrei scritto il ringraziamento in inglese sul web!
Ecco: anche dal personale del front desk sono stata trattata più da amica che da cliente. Certo: è il loro mestiere, ma ci sono tanti modi per farlo e qui ci hanno messo l'anima...
Quanta umanità è uscita fuori da queste persone e quanto desiderio di 'parlare'. Forse in questo correre e affannarsi si è perso il senso di rapporti umani che non siano fatti solo di parole dette al volo e non pensate e quanto invece il ragionare insieme possa aprire a un dialogo anche persone tanto diverse di età differente provenienti da mondi lontani fra loro.
Questo orsacchiotto rappresenta una vittoria per loro e per me: questi giovani mi hanno messo a parte di loro progetti per il futuro e io ho narrato pochissimi brani della mia vita perchè ho preferito ascoltarli; li ho narrati perchè me lo hanno chiesto, alcune volte con gli occhioni sgranati. Rivedo come un flash alcuni momenti passati, non felici della mia vita, quei momenti che mi hanno mostrato deserti dell'anima, compresa la mia.
Ho deciso: questo orsacchiotto avrà un posto d'onore sulla mia scrivania già congestionata da mille carte, per ricordarmi, quando lo dimenticassi - e si sa che la mente umana perde continuamente neuroni - di un bel dialogo con persone che in un mese sono riuscite a darmi umanità e serenità.
Firuzeh

Goodbye Maryland! Goodbye friends!




Today it is snowing here in Maryland. I had the choice of a different weather in 5 weeks: sun shining and a warm climate, rain and snow. Not bad for only 36 days! Tomorrow I will fly home, a long fly, a tiring trip, so many hours and the famous jet lag that will be my companion for some days. But in Italy Tuesday is a festivity so that I can try to recover and think. I should be very happy because I am going home, and I am, really, but I cannot forget these 5 weeks in this University of Maryland College, a hotel of Marriott chain. As a matter of fact I am sad in a way. I have found here not only employees 'obliged' to be nice to customers, but some nice human beings who let me feel at home, when it is quite well known that...to be in a hotel for long time is rather...frustrating. There many ways of doing one's duty...and here they found the best way to do it for me.
Hi Miss Mary... as everyone calls you here: you understood my loneliness and found the way to make it lighter. The work of a scholar is always a lonely one and after being 8 hours in the Archives, in silent company of other researchers even the voice has some difficulty to come out and to be used: so the opportunity to talk to someone, to have a bite not alone, but in a nice atmosphere has been welcomed. And also the possibility of going to a very interesting exhibition exchanging opinions about it has been a different way of spending the only afternoon I allowed for myself, free from work.
Hi Andrews, Anja, Johnnise, Carmen, and all the others of the front desk, always ready to implement my requests, like the one of an electric extension, for example, or just listen to my words about researches, with a lot of patience.
Hi Elena, que tal! Hemos platicado tantas veces en su idioma, el espanol, porqué Usted es originaria del Salvador, si mi memoria no anda fallando. Me hablò de sus ninos, de su esposo, de su vida y yo de la mia. Experiancias distintas, pero vida comun. Que le vaya muy bien logrando felicidad y serenidad.
Hi Polly: you come from Brasil, but unfortunately I do not speak portuguese, though I understand it. Nice company in the morning during my quick breakfast.
And what to say about the young people in the two restaurants I have been all my staying here.
Heidi was the first one to welcome me in my very first evening here: I have to confess that though I know English I felt myself at loss because I realised...that I could not understand what you were saying to me. But by now, I understand since I got used to the accent of everyone.
Hi Melvin, young man, advising me about the best beers you are selling in the premises. When I walked in the 'Oracle at Adelphy', you and your colleagues, Valerie and Heidi, welcomed me as I was one of your family, always with a high level of respect, but also, after some days, with a warmth which it is not obliged in your work. You told me something about your dreams for the future and I think that you have to struggle to obtain them because they are quite reasonable and sound. And if you succeed, let me know: I will come and have an Old Dominion Stout. I pay the fare from Italy but you offer the beer!
Valerie nice girl doing well her job: you too have been cheerful and smiling to me.
A smile does not cost much but it has a wonderful revenue! And yours is a very nice smile.
Thanks to Mike, also: the young and gentle supervisor.
Thanks also to the girls I met in the Garden restaurant, Adanech, Azeb, Weiney, Hirute: they come from Ethiopia, a country I visited in my youth: I lived there for six months and I remember very well that period and the country. They were surprised at the fact that I knew Addis Ababa...Asmara...and I was remembering also the food...zighinì...Their smile too has been valuable for me.
It is certain I forgot someone, for example the housekeeper for myy room who comes from Bosnia.
Practically you meet people from all over the world!
In a way all of you acted as my family, with respect but with a human feeling I appreciated very much. So: MANY THANKS from the web!
Happy Xmas to all of you and a Happy New Year full of health and love.
This time exceptionally for you I will sign with the name you know and not with my Persian name, Firuzeh, I adopted for my blog.
Maria Gabriella

martedì 24 novembre 2009

Profumo di terra bagnata


Da due giorni nel Maryland piove e il cielo è grigio, ma non sono affatto triste, perchè...per me è primavera.

Anche la pioggia è importante: andando a piedi agli Archivi, ho visto gli alberi ormai completamente spogli di quelle foglie che ne erano state l'ornamento magnifico fino a due giorni fa. Così: protesi nella loro semplicità e nudità verso il cielo. Ma c'è un elemento nuovo: un magnifico profumo di natura bagnata, con tante sfumature diverse che accarezzano l'olfatto. Mi sono sorpresa a restare ferma e a cercare di carpire quei profumi così articolati e di distinguerne a mano a mano la diversa origine. Ecco: ho invidiato le proprietà olfattive dei nostri amici domestici a quattro zampe perchè l'insieme degli odori che mi arrivavano meritavano decisamente 'un naso' più allenato e più consapevole del mio umano deficitario olfatto.
Poi ho ripreso il cammino verso lo studio e nell'andar...si pensa...
Pensavo a Roma, al Gianicolo, dove spesso mi trovo a passeggiare e che in qualche modo e in qualche angolo, con i suoi alberi secolari, mi ricorda e mi ricorderà questo pezzo di terra americana, lontana dagli imponenti edifici di Washington...downtown, come si dice qui.
Una terra che ho imparato ad amare e che lascerò presto: so già che ne sentirò la mancanza. Non mi appartiene, come i deserti, non ho fatto un patto di sopravvivenza con lei, ma mi ha ridato 'la primavera', quella della mia anima angosciata e ferita, come un balsamo antico sopra una ferita profonda; un balsamo nutriente che sta riformando un tessuto connettivo importante, dopo l'esperienza di essere stata usata per sopperire ad altrui debolezze caratterialmente strutturali.
Il mio piccolo Genio, sempre più restio a ucire dalla Lampada, perchè anela ai suoi deserti, pur apprezzando questa natura, annuisce con convinzione ai miei pensieri...piccolo imbroglioncello: in realtà qui stai bene, anzi benissimo, ma non lo vuoi dichiarare per un malinteso senso di orgoglio. Perchè non dici che ti piacerebbe in questo momento afferrare la criniera di un cavallo e correre in mezzo agli alberi, gustando profumi e suoni ovattati di una natura che sta per andare in letargo? Perchè non dici che vorresti essere qui al suo risveglio, con altri profumi e altri suoni?
Ti vedo sorridere furbescamente. Ho colto nel segno! D'accordo, qui ci torniamo a primavera e poi....ce ne andiamo in qualche deserto...
Firuzeh

domenica 8 novembre 2009

Tornando a vivere...






Il sole è caldo ed è novembre qui a Washington, a Capitol Hill, uno strano novembre tiepido e gioioso e anche giocoso. Le foglie degli alberi hanno colori di sfumature diverse, anche in queste strade e e si vedono le ultime rose della stagione. Una piazza ricorda Abramo Lincoln, ma di fronte si erge un monumento ad una donna che molto ha fatto per l'integrazione dei non bianchi e degli antichi abitanti originari di queste terre, Mary McLeod Bethune. Di fronte ad Abe Lincoln, una scultura, drammatica nella sua rappresentazione, con tre personaggi, fa un contrasto di colore con quanto è intorno. Un monumento nero, una scultura vibrante, contro il cielo azzurro di un giorno che sembra sereno. E di fatto per me lo è. Mi aggiro lieve tra i banchi del mercato locale, gustando la vita che vi si svolge, attiva, pulsante, rumorosa. Non amo molto i rumori, cercando sempre il silenzio, ma bisogna accettare il brusio del mercato come segno di vita. Il mio piccolo Genio mi sembra rassegnato: si è animato di fronte ad un bel cesto di datteri, ma è rimasto delusissimo. Sono datteri di California e anche molto buoni...gliene hanno offerti alcuni che ha accettato con un grande falso sorriso di gratitudine; però poi ne ha mangiato uno, e onestamente ha detto il suo parere al riguardo. Questa volta non più immusonito, ma sorridente, ha deciso di rimanere fuori della Lampada e guardarsi attorno perchè questi vialetti di Capitol Hill sono attraenti. Capisce che vi sono altri mondi, altri modi di vivere, lontani dal suo modo di essere e di amare la natura: quella dura, calda, fatta di polvere e di sabbia, di cammelli e di odori forti, di stracci e di spazzatura nelle strade, con un disordine eloquente, con la voce del muezzin e il traffico caotico: o con il vento del deserto che ti secca la gola e ti entra negli occhi.
Qui è tutto così ordinato, così 'normale', esteriormente così 'borghesemente' bello. Bisogna sempre vivere sull'orlo del precipizio o prendere una via agevole? I ricordi si affollano e vanno a quando il Male ha cercato di buttarti giù, di farti sprofondare in quel burrone profondo che è la negazione di se stessi, la sensazione che tutto o quasi non ha più senso. E allora ti sei aggrappato ad un ramo sporgente e a poco a poco sei tornato su: hai ripreso il cammino ma cerchi di stare lontano dal Male: ormai lo hai riconosciuto e devi fare in modo che non si avvicini a te, perchè hai paura delle tue reazioni. Potresti ferirlo a morte e non vuoi farlo, hai cercato di non farlo per tutto questo tempo. Oggi a Capitol Hill, in mezzo alla vita e con negli occhi la statua di una donna forte che ha lottato contro un mondo difficile, senti che il perdono che gli hai concesso vale la tua vita, la tua pace interiore, ma il Male forse non ha capito che perdonare non significa dimenticare...oggi a Capitol Hill il sole ti sorride e senti le spalle leggere, non ci sono pesi che gravano come un cielo in tempesta. Oggi ti manca il tuo deserto, ma ti rendi conto che quello dell'anima sta riprendendo vita, anche se la stanchezza è ancora profonda. Molto profonda. Ma che importa, se si torna a vivere?
Firuzeh

venerdì 6 novembre 2009

A spasso nel Maryland


Io amo i deserti, ma oggi sono nel Maryland: una natura bellissima con un autunno glorioso che regala foglie di ogni colore, dal verde al giallo a tutte le sfumature di un rosso caldo, invitante. Grandi alberi e una autostrada a due piste per corsia dove vanno come razzi le automobili. Ed io, raro pedone (perchè tutti hanno la macchina qui e vanno a piedi solo i poveri, quelli che fanno footing e gli 'svitati' come me), mi avvio con la mia cartella al lavoro in Archivio come uno studentello squattrinato. Venti minuti con le macchine che sfrecciano, ma quando i lontani semafori le fermano per almeno due minuti, io mi godo con gli occhi e con la fantasia questo angolo di mondo: non è il mio amato deserto, ma qualcosa mi dice che appartengo anche a questo spazio. Il cielo oggi è molto terso e soffia un vento sottile, insinuante, freddo, ma non gelido e inizia a parlarmi. Forse è un vecchio amico: ma sì, è sempre lui, sotto altro nome e altre vesti, il mio grande amico che mi accompagna spesso e anche oggi mi sussurra parole dolci, balsamo dell'anima. Il mio piccolo Genio ha freddo e non esce dalla Lampada: si sente solo la sua vocina che chiede di tornare sulle dune al caldo. Gli rispondo che non bisogna essere noiosi e banali e che bene gli farebbe uscire dal bozzolo per vedere il resto del mondo. Oggi sono allegra: il Male è lontano e quasi mi sono dimenticata della sua esistenza. E finché sarà lontano, non mi può nuocere. Debbo tenerlo lontano in qualsiasi modo: ancora non so come, ma lo farò. Il vento del Maryland mi dice che ce la farò e io continuo ad andare, con una strana serenità che non avevo da tanto tempo. Sorrido da sola e non mi accadeva da molto tempo. Che lo Spirito degli abitanti originari di questa terra abbia forse deciso che sono degna di un suo sguardo benevolo, visto che con umiltà cerco di vedere con la fantasia anche quello che non è più possibile vedere? Se così è, il Genio ed io ci prostriamo devotamente davanti a lui con mente aperta e animo sincero. Mandami un cavallo, o Spirito, che veloce mi porti nelle tue praterie, lasciando dietro il dolore che il Male mi ha provocato in questi ultimi due anni. E chiedi al Vento di accompagnarmi dove tu vuoi.
Firuzeh

martedì 6 ottobre 2009

La primavera...in autunno

E' vero, il 21 marzo è primavera, ma questa può arrivare in qualsiasi momento...anche in autunno, con le foglie che cadono sui Lungotevere di Roma e un particolare rosso tramonto che ti dice: oggi si volta pagina, mia cara. E il Genio - visto che ho strofinato la Lampada - mi gironzola attorno con discrezione, ma molto attento e con tanta sensibilità e dolcezza, cercando di dirmi che tutto è passato, che la malattia è ormai scongiurata e che per ora la vita è tutta in discesa...certo non per sempre, ma che importa! Oggi è così.
Oggi il Male si è allontanato e quindi la primavera è arrivata. Si ricomincia a vivere e a guardare lontano, con tanta stanchezza, ma con la consapevolezza che uscirò fuori dalla porta di casa con il mio kit di fiducia nella vita: occhiali scuri a mosca, foulard antisabbia, una 4x4 e via nel vento, amico mio da sempre sulle dune della mia permanenza qui. E tu mio Genio naturalmente sarai con me perché ogni volta che andiamo nel deserto rifiorisci...anche se a volte continui ad essere angoloso e spinoso; anche se ormai, lasciatelo dire, non essendo molto giovane, dovresti essere più tollerante verso le miserie della vita e godere solo gli aspetti più nobili del passaggio terreno.Vero è che solo di fronte al pericolo e alla Morte, la 'Signora', si tira giù la maschera, svelando il vero volto. Poi ci si rimette la maschera, 'tutti pronti, si va in scena!'. La farsa ricomincia.
Firuzeh

martedì 29 settembre 2009

Fuga da Itaca

E’ inutile fuggire. Come scriveva Konstantin Kavafis nel suo poema Ithaca a proposito di Ulisse e della sua isola dalla quale si allontanava sempre, Itaca siamo noi stessi e volercene andare non è altro che fuggire dai nostri problemi, tentare di cancellare errori e dolori con una fuga. Affrontarli è difficile, perdonarceli, ancora di più…Strani pensieri sulla sabbia di una piccola baia sull’Oceano Indiano verso il tramonto.

Può sembrare difficile vedere mare e cielo in bianco e nero, uniti in un mix tendente al grigio!! Ma se il sole è velato da una foschia originata da una forte calura giornaliera e, al tramonto, state guardando i profili delle rocce in controluce, ebbene i colori sfumano in varie tonalità di grigio. Le barche dei pescatori si stagliano contro il sole divenendo delle sagome nere dai contorni particolarmente nitidi. Incredibilmente credi di poter fissare il sole, anch’esso….d’un grigio quasi tenero. Sul grande scoglio di fronte a Ras Al Hamra, si posano altre piccole sagome, veloci: alcuni dei tanti uccelli che vivono tra gli alberi e i cespugli di questa spiaggetta tanto bella quanto maltenuta, con bottiglie di plastica buttate lì dopo un frettoloso bagno: niente di nuovo dunque nemmeno in questo lembo di Oceano Indiano. Però alzando lo sguardo verso uno sperone dove una volta c’era fino a poco tempo fa una villa d’altri tempi con gran giardino, e ora lo scheletro di un palazzo in costruzione, astraendosi dunque da ciò che è intorno a noi, torna l’incanto delle barche dei pescatori che cercano i granchi che vivificano le rocce e il bagnasciuga, delle lumache di mare attaccate a due lastroni di cemento armato arrugginito, che in altri tempi agevolavano la discesa a mare delle barche. Il tramonto, tenero e gentile in questa giornata afosa, nasconde le bottiglie di plastica e mette ancora una volta in risalto il profilo delle rocce. L'animo si calma e la mente si rasserena: la tempesta è dentro di noi, ma il vento sta calando; i ricordi si attenuano e sono lontani, non solo fisicamente...la notte scende rapidamente, come sempre, quanto più ci si avvicina all'Equatore. Il silenzio si affaccia timido sulla piccola baia e come miracoloso unguento orientale arriva sulle ferite dell'anima e le lenisce, sia pur per un poco. Sempre meglio così, vero mio amico Genio che rientri rapidamente nella Lampada, non appena senti odor di tristezze? Continua invece a volteggiare in questo tuo mondo incantato dove non vi sono confini tra la realtà e fantasia che sfuma la realtà come un sogno lontano...

Firuzeh

Un deserto dell'anima: l'ipocrisia

Ti guardi attorno e credi di conoscere delle realtà. Te ne hanno parlato a lungo; hai verificato che quel che ti hanno detto è o sembra essere la verità. Poi all'improvviso vedi un quadro diverso e non capisci più quale sia la realtà. Allora ti viene in mente il vecchio concetto della 'facciata' che credevi sepolto da tempo nel XXI secolo; quella 'facciata' contro la quale in tempi lontani hai combattuto, quando era molto diffusa e frantumarla significava essere messi al bando. Non hai messo in conto che molto spesso l'ipocrisia è connaturata per alcuni esseri umani come una seconda pelle. Tentano di sbarazzarsene, ma non ce la fanno, spesso per opportunismo, per convenienza, per praticità, per routine. Trovo l'ipocrisia uno degli aspetti che più mi disturbano nel mio prossimo, ma devo ammettere che è molto più diffusa di quel che non si creda o non si veda e che comunque è pagante anche nella società odierna. Mi illudo che i giovani lo siano di meno di una classe di età più adulta ancora legata a schemi di un tempo che credevo passato. Se poi unisci all'ipocrisia un sano egoismo opportunista, allora il quadro è completo. Le sfaccettature di un essere umano sono molte. Realisticamente bisogna riconoscere che l'ipocrisia, sommamente utilizzata, comporta i suoi frutti, assai succosi spesso, e quindi "viva" l'ipocrisia e soprattutto chi sa utilizzarla da vero professionista, ben orientandosi tra una mezza verità e una mezza bugia.
Ecco perché poi me ne vado nel deserto dove solo il vento mi parla, mi urla nelle orecchie e il vento, da qualsiasi parte arrivi non è mai ipocrita, specialmente il khamsin, uno dei venti del deserto del Sahara. Mi fa girare la testa e mi solleva come la sabbia, e poi mi lascia scendere dolcemente a riprendere il mio cammino in un panorama sempre mutante e sempre uguale a se stesso. Potrebbe essere una buona soluzione avviarsi tra le dune e non tornare mai più indietro.
Firuzeh

Un dialogo divertente...ma vero

Attori: il Corpo (anni…dopo i 50) e la Mente.

Mente: “dunque, preparati che ora (sono circa le 20.00 di una normale serata) dobbiamo andare con amici al cinema o a teatro…”

Corpo: “sei scema; io di qui non mi muovo. Mi hai fatto fare la spesa, correre dietro vari autobus; mi hai portato in palestra e ora pretendi con una doccia, di portarmi in giro”

Mente: “ti prego; ho lavorato tutto il giorno tra casa, ufficio e computer. Comprendimi: ho voglia di svagarmi un po’; in fondo non è così difficile; solo un poco di buona volontà…e andiamo a rilassarci con un sano divertimento"

Corpo: “non se ne parla proprio. Fai una telefonata e disdici; la prossima volta, se hai velleità culturali serali, lasci stare la spesa, gli autobus e quel che ti pare, ma non la palestra: chiaro? Perché quella mi serve, più del pane. Mi dai un riposo pomeridiano e poi dopo posso darmi ad attività a tuo beneficio esclusivo. Capito?” [il solito egoismo maschile...nota dell'Autrice]

Il Corpo non andò al cinema e la Mente capì che doveva tener conto ormai dei voleri del Corpo, mentre prima non lo aveva quasi mai fatto: gli anni erano passati e aveva perso gran parte della sua autorità sul Corpo; ma rimanevano sempre amici cari legati a doppio filo e con buon senso potevano continuare ad andare d’accordo, come nel passato. E la Mente con dedizione davvero femminile dovette iniziare ad accettare i piccoli grandi egoismi del suo compagno.

Firuzeh

mercoledì 23 settembre 2009

In Africa

Etiopia, Addis Abeba, inizi anni settanta. Una grande voglia di fuggire da Roma e per studio riuscii ad andare ad Addis. In loco mi prestarono una Rover e io poi mi comprai una vecchia Fiat 1500 con cambio al volante e in seguito un fuoristrada russo, UAZ, anch'esso assai vetusto. Faceva lo 'shimmy', cioè entrava in vibrazione assurda raggiungendo i circa settanta chilometri orari, tenere il volante era una bella impresa, ma appena si superava quella velocità, la UAZ ritornava tranquilla...si fa per dire, perché rombava come un vecchio aereo bi-elica sul punto di esalare l'ultimo...giro!
La vecchia UAZ però ha fatto il suo servizio bene e mi ha portato su piste difficili, ha guadato fiumi, ha portato a caccia me e i miei amici. Che caccia poi? Beata gioventù: andavamo di notte a caccia di lepri con il faro della mia Uaz a illuminare il terreno. In questi casi lasciavo la guida ad altri, ma la mia mira era assolutamente 'fallibile'. Ricordo il primo sparo con il fucile prestato e il rinculo del colpo che mi piazzò seduta in modo violento sul sedile, io che spavaldamente stavo in piedi nonostante la vettura fosse in rapido movimento. Non ho mai preso una lepre e quindi mi rimisero alla guida, dove invece ci sapevo fare.
Un'altra volta, con amici uscimmo da Addis verso il confine con il Kenya, per andare a caccia e soprattutto vedere quello che noi chiamavamo 'il Lago degli Uccelli'. La fauna pennuta di questo lago era più che numerosa: il rumore era infernale; dovevamo urlare per sentirci fino al momento del tramonto. Un momento di rara magia: in poco più di un minuto il sole tramontava e in quello spazio di tempo brevissimo si passava dal suono delle voci degli uccelli al silenzio più spesso, più compatto. Le tenebre, arrivate con rapidità, avevano riportato l'assoluta calma sul lago. L'animo e la mente potevano rilassarsi e gli occhi guardare il cielo con animo quieto, godendo della bellezza di una natura particolare..
Dopo una battuta di caccia, con un buon numero di fucili in macchina, rientrammo in Addis, molto meravigliati di non trovare il consueto caos domenicale del rientro in città. Arrivammo a casa alla Salcost (il complesso della Salini Costruzioni), pronti a cambiarci per andare ad una cena elegante: fortuna volle che telefonammo per dire che eravamo in ritardo. La cena era stata annullata; il Negus era stato defenestrato ed era in vigore il coprifuoco...e noi non avevamo capito niente, tornando con beata incoscienza da un lungo week end fuori città, con armi nel bagagliaio della macchina. Non avevamo incontrato un posto di blocco; certo: tutto era stato troppo calmo, ma, ci dicemmo, guardandoci negli occhi: eppure abbiamo visto alcune biciclette andare tranquille! Ma ad un tratto ricordammo: avevamo sentito di notte strani colpi di tamburi nella boscaglia (dormivamo in tenda non troppo vicino al lago, con i fuochi accesi), colpi che erano quasi un botta e risposta; quel linguaggio però non ci apparteneva e non avevamo capito, anche se quel rincorrersi di segnali di tamburo ci aveva provocato un oscuro e forte senso di disagio.
Quella sera non uscimmo più. Poi la vita riprese nella sua routine, dove era entrato anche il coprifuoco, routine anch'esso. Perché poi quasi tutto diventa routine.
Firuzeh

domenica 20 settembre 2009

Il silenzio

Cerco da sempre il silenzio; non parlo solo di quello che trovo fra i boschi o sola di fronte all'Oceano Indiano...mi riferisco anche al 'silenzio parlato'. In questi giorni sto rifiutando di vedere telegiornali e vari salotti televisivi dove, per fare audience soprattutto, si parla di quel che è successo a Kabul... Ricordo bene quella strada che si percorreva obbligatoriamente per andare o venire dall'aeroporto...ricordo il ponte dove la strada si restringeva pericolosamente. Sotto il ponte vi era il letto di un fiume molto ampio, secco, solo con alcune pozze d'acqua dove i locali lavavano ogni giorno le loro macchine. Sarebbe stato divertente fare qualche foto, ma sapevo benissimo che proprio lì non ci si poteva fermare perché l'attacco poteva essere facile. Qualcuno, un civile come me, sul mezzo, chiese appunto di fermarsi per fotografare e gli fu risposto come si doveva in modo duro non siamo in franchigia!
Quando si usciva solo con una macchina per vedere o intervistare qualcuno, le strade che facevamo erano sempre diverse, ma con altri mezzi, era difficile evitare sempre 'quella lunga trafficata strada obbligata' per certi percorsi e ricordo come era difficile evitare che nel caotico traffico afgano qualche vettura si introducesse nel convoglio militare.
Chi ci accompagnava non faceva quasi mai trapelare nervosismo, nemmeno quando andammo a visitare una prigione per consegnare alle donne che erano lì ristrette alcuni regali: eravamo un piccolo convoglio, perché poi in seguito dovevamo recarci fuori Kabul. Il Direttore del carcere non era presente, nonostante fosse stato avvertito in precedenza. Siamo stati fermi ad aspettarlo per una mezz'ora circa. Come al solito non parlo mai in queste circostanze per pudico timore di dire sciocchezze 'militari', ma ricordo bene che passai quella mezz'ora con nervi a fior di pelle: quell'attesa di un qualcuno che era stato avvertito del nostro arrivo, mi piaceva assai poco, ma come al solito mi dicevo che..avevo una fantasia troppo attiva. Parlo una delle lingue degli afgani e cercavo disperatamente di comprendere quel che si diceva. L'interprete locale parlava un inglese molto approssimativo e per quel poco che io riuscivo a capire, non mi sembrava proprio che traducesse tutto e letteralmente.
Arrivò poi il Direttore, con una divisa nuova o quasi di zecca, del tipo rutilante come un albero di Natale, e allora capii forse l'origine del ritardo.... Entrammo nelle carceri e tirai un sospiro di sollievo.
Oggi che nella mia mente si affollano tanti ricordi cerco il silenzio. Non guardo la televisione; non riesco quasi nemmeno a parlare con chi condivisi tante esperienze.
Domani è un altro giorno, ma la cicatrice si è riaperta e il dolore affatica di nuovo il mio cuore.
Firuzeh


venerdì 18 settembre 2009

Seconda lettera alla 'Signora'

Gentile Signora, ieri Lei ha spuntato dal Suo elenco, tra gli altri, anche sei nomi di quella lista 'speciale' che tiene in serbo, quella dove l'età e la malattia non contano.
Li chiamiamo da tempo 'soldati di pace' perché è politically correct, senza renderci (o forse ce ne rendiamo perfettamente conto, ma vince l'ipocrisia) che questa dizione è una contraddizione in termini. Mi sono sempre chiesta poi dove era la pace in Iraq e in Afghanistan; dove è in quella lontana terra? Dove le Voci, che non si sentono, gridano invece con violenza 'guerra...guerra...guerra' !
Lei, cara Signora, che conosce ogni dettaglio della mia vita, essendone ormai l'unica padrona, sa quanto io ami quelle regioni e come il mio cuore soffra anche per quei poveretti di lingua dari, pashtun che Lei ha deciso di cancellare dal suo elenco generale.
Ma come già ebbi a dirLe, comprendo che Lei ne sa più di me e mi inchino ai Suoi voleri.
So che Lei non ha pietà per nessuno: forse per questo nella tradizione artistica del nostro Bel Paese e in altri anche, viene raffigurata piuttosto 'scheletrica' con una falce in mano, spettrale, tetra. Forse è proprio così, ma io amo raffigurarLa - considerato che amiamo le rappresentazioni antropomorfiche - come una Signora, severa certamente, ma gentile che può donare alla fine la vera pace, anche con un sorriso. A volte dopo molte sofferenze, altre rapidamente.
Ora, Signora, ho bisogno ancora di tempo: devo riuscire a perdonare chi mi ha fatto molto male, dicendo per altro che non avrebbe 'voluto' farmi questo, ma agendo con superficialità e egoismo...come un normale essere umano, con le sue debolezze e le sue grandi fragilità. So di essere più forte, ma devo soprattutto riconciliarmi con me stessa, con quel perdono che ancora mi rimane difficile dare.
Il Suo aiuto consiste solo nel darmi tempo: quello che Lei vuole e reputa giusto, nella Sua saggezza. Sono sempre una Sua devota 'amministrata', ma
non ancor Sua,
Firuzeh


giovedì 17 settembre 2009

Oggi non posso tacere

Oggi veramente non posso tacere di fronte a quanto successo in Afghanistan. Si rinnova un dolore profondo, vissuto in prima persona nel 2003. Si crede di aver definito per sempre una cicatrice, come se si fosse potuto passare del silicone sigillante sopra una ferita, invece quella si riapre e continua a sanguinare. Ti chiedi perché e allora inizi a telefonare a tutto coloro che in quel momento ti furono vicini o con i quali hai compartito quelle vicende. E non sai il motivo per il quale lo fai: forse perché solo loro possono capire quello che tu senti in questo momento risentendo ambulanze, vedendo volti di soldati fieri ma attoniti, come lo eri tu in quel momento. E soprattutto non capisci perché: sei uno storico, hai vissuto in mezzo a loro, ne parli la lingua e...non riesci a comprendere molte 'cose' e pensi che non è veramente giusto e leale un tributo come questo...perché non capire dove e come stiamo sbagliando? Tu hai le tue idee, ma non le puoi esporre...tanto ti direbbero che sei tu che sbagli.
E allora mi tengo le mie idee e il mio dolore profondo dentro di me; ma da storico capisco che questo è il karma della politica. Lo è sempre stato e così sarà per quella terra di 'mezzo' che è l'Afghanistan.
Firuzeh

martedì 25 agosto 2009

Sicilia d'agosto

Sicilia d’agosto: un caldo soffocante e un invito a pranzo per le ore tredici! Periferia di Palermo: una volta 'campagna' per i possidenti, dove andare per ripararsi dalla calura. Entro in una villa della Trinacria ottocentesca! Salgo per una bella scala di pietra antica che porta ad una serie di stanze ‘gattopardesche’. Entrando a sinistra, un grande armadio di noce chiara nasconde un altare completo, una piccola cappella domestica dove i Baroni P..., padroni di casa usavano dire le loro devozioni e qualche pretino locale probabilmente vi celebrava messa in momenti particolari.

E poi, posti con cura in vetrinette o su tavolini, oggetti di gran gusto di un’epoca ormai passata, ventagli di ogni forma ed eleganza, e le foto di famiglia: quelle dei matrimoni di bisnonni, nonni e genitori; i ritratti degli antenati in divisa dell’Esercito della nuova Italia unita, indossate dai gentiluomini siciliani che credevano nel nuovo corso e che comunque accettarono, per convinzione o per dovere, la realtà sabauda al posto di quella borbonica ormai disfatta.

Ecco la foto di una fanciulla con capelli assai lunghi e una postura timida, come si addiceva sicuramente alle nobili non ancora maritate: la mia giovane ospite mi racconta che quella donna era una sua zia morta ultracentenaria, e mentre parla io rivedo in lei la sua antenata…

Vado nella grande terrazza, che una volta era quella riservata alla padrona di casa, perché ad essa si accedeva solo dalla sua stanza da letto, ora diventata un elegante salotto.

Mentre cammino nella terrazza e continuo il mio giro per la villa, mi rendo conto che un affollato mondo di presenze eteree mi accompagnano benevolmente, forse chissà ridacchiando, dietro a raffinati ventagli, dei miei pantalonacci informi di cotone, del mio sgraziato cappellino di raffia e della mia macchina fotografica brandita come una minaccia, mentre loro con grazia fanno volteggiare le crinoline di mussola leggera, sotto bellissimi leggeri cappelli di paglia. Questo deve essere il solito scherzo del Genio che ama sempre farmi ritrovare improvvisamente, come per incanto, in mezzo a persone che non conosco Io sorrido e mentre abbraccio l’attuale padrona di casa, comunque ringrazio mentalmente quelle dame, per avermi fatto intravedere con la loro presenza, un aspetto piacevole di un mondo ormai scomparso, perché non tutto il quel mondo era piacevole e solo pochi eletti potevano disporre di ville di campagna, quelle stesse ville che ora ai più rimane difficile mantenere!

Mentre mi allontano in macchina, da un ornato terrazzino sulla facciata, una giovane donna in bianco mi saluta: sei tu, Piera o è la tua ava?

Firuzeh

L'Attesa

Attendere è difficile. Necessita di grande pazienza, perseveranza, speranza e anche disperazione, a volte. Attendere cosa? Una notizia, una telefonata, un appuntamento, un segnale…il nemico, come nel ’Deserto dei tartari’? O attendere il nostro ‘Godot’. Le attese sono complesse e logoranti; raramente vengono ricompensate da momenti piacevoli. E’ connaturata alla natura umana, l’attesa per qualcuno, qualcosa e poi quando si ha coscienza della vita, senza saperlo si attende comunque Lei, la nobile inflessibile Signora che avrà il potere di sopire per sempre qualsiasi attesa.

Firuzeh

L'Araba Fenice

E’ il mito dell’immortalità, a ben pensare, quello dell’Araba Fenice che risorge sempre dalle sue ceneri. Ma quale è il vero senso di quel mito? Oltre a quello dell’immortalità, forse è il più semplice desiderio umano di rialzarsi sempre e comunque dopo aver affrontato un ostacolo ed esserne rimasti sconfitti. Oppure dopo esser stati colpiti da una calamità fisica o psicologica che ti ha messo in ginocchio. E’ trovare una grande forza per ricominciare tutto da capo, dopo delusioni, amarezze, lutti, perdite finanziarie…ma dove trovarla?

Vi sono persone che la trovano nella Fede, qualunque essa sia; altre, meno fortunate, indubbiamente, per rialzarsi, debbono trovare quella forza in se stesse con grande fatica e dispendio di energie fisiche e mentali. Ma.. la vita è una farsa e ti devi accontentare di quello che passa. Per fortuna che mi sento come l'Araba Fenice e trovo sempre la forza per riprendere il filo della mia vita...fino a quando, però? Ora ho ritrovato la mia serenità anche se ho ricevuto una dura lezione sulla complessa e tortuosa psicologia di alcuni esseri umani.

Quanta fatica in più ad ogni resurrezione!! L’ultima è stata veramente dolorosa.

Firuzeh

Un volto

Afghanistan sempre sui titoli dei giornali: tante foto dei nostri 'ragazzi' in missione fuori area (li chiamiamo così anche se sono ben cinquantenni...e se sono veramente molto giovani, sono comunque uomini maturi); pose marziali; abbigliamento professionale; arma lunga o corta...ma non conosciamo il loro volto in azione o dopo qualche fatto bellico di notevole impatto.
Ricordo il volto di vari soldati dopo un attentato: alcuni tirati e duri, altri con la disperazione negli occhi, altri ancora con un senso di disorientamento e di smarrimento dopo un evento ipotizzato in teoria, ma inaspettato o quantomeno non immaginato nella cruda realtà.
Rivedo foto di volti sorridenti, consci dei rischi, ma forse lontani nel quotidiano vivere dal pensare l'evento come realizzabile, perchè vivevano i loro minuti e le loro ore pensando ai servizi da espletare, a quelli futuri, al prossimo rientro a casa, ai problemi domestici e familiari.
Ricordo il volto di un soldato ventiquattro ore dopo un attentato, con l'odore dei morti e delle macerie fra i capelli e sui vestiti, seduto sullo spigolo di una scrivania, con l'arma stretta fra le mani: duro, tirato, capace di accennare un mezzo sorriso per fare una domanda sciocca che voleva essere gentile; barba lunga e occhi attenti, senza cedimenti, consci che il pericolo non era passato; anzi... se 'ieri' era ormai passato, esisteva solo il 'domani per un amico perduto, per il quale combattere e per difendere chi era rimasto.
Svanì in mezzo agli Hesco-Bastion che aveva fatto sistemare in poche ore. Vorrei ritrovarlo, ma so che se ne è andato forse per sempre nell'inquinamento aberrante e opportunista della vita di tutti i giorni.
Di fronte al pericolo e alla morte, si tira giù la maschera, svelando il vero volto. Poi ci si rimette la maschera e la farsa ricomincia.
Firuzeh

mercoledì 1 luglio 2009

La casa di Donna Muzna (Bait Sayyeda Muzna)

È una casa ancora in restauro, vuota, affascinante, incantevole. Il mio Genio è uscito dalla lampada di Aladino e si aggira da padrone tra le sue stanze fresche; volteggia gioioso, ritrovando ambienti e architetture a lui note: qualcosa di simile aveva già visto in Yemen…ritrova stipi e stipetti incassati nel muro, anche in alto sulle pareti. 

Per ora ci sono ancora fili elettrici pendenti, pareti da liberare da sali minerali che la infestano... ma pian piano … la casa si sta animando con i suoi  abitanti; scende dalla scala principale la Donna della Casa: forte potente, ha fatto il pellegrinaggio alla Mecca, guida con mano ferma la numerosa servitù che deve tenere pulita la grande casa, quelle figure velate che si aggirano senza far rumore  e s’infilano svelte su per alcune ripidissime e strette scalette, perché  quelle larghe, padronali, che portano al patio superiore, sono solo per la famiglia.

Da quella ringhiera di legno, così fragile e elegante, si affacciano le figlie della domina a cinguettare segreti di fanciulle, ma solo quando la madre è fuori.

Con gentilezza  Sayyeda Muzna  mi fa fare il giro della sua dimora, dove i tappeti che coprono ovunque il pavimento ti accarezzano i piedi soavemente. E lì nelle nicchie dei muri,  ad archetto islamico, trovi i profumi, per la verità forti e troppo dolci, fatti con acqua di rose; lì brucia  il frankincense che si trova abbondante in Oman; si sentono profumi di altre spezie che provengono dall’India; lì è conservata la dolcissima halwa, specialità del luogo.

Ammiro i superbi tappeti: li guardo con occhio esperto. Ho momenti di sollievo dal caldo, perché la ‘bait’  così come è ‘architettata’, ripara dall’afa dell’ambiente esterno, con 45° gradi all’ombra. La generosa padrona di casa mi invita a sedermi sui divani a terra di stile omanita e mi offre un magnifico tè caldo…speziato con grani di cardamomo macinati. Decido che quando tornerò a casa farò la stessa cosa…almeno per un mese… poi di sicuro tornerò alle abitudini nostrane, per pigrizia e mancanza di buone spezie fresche.

E’ il momento del congedo, dopo una parentesi di grande serenità, ma…mentre sto ringraziando, Sayyeda Muzna scompare, così come si ‘volatilizzano’ i tappeti, gli oggetti, le serventi e il cinguettio di fanciulle…ho di fronte un operaio indiano con baffo, tuta blu e pennello in mano. Questo è stato un altro scherzo del Genio, ma quale è la realtà: Donna Muzna e le sue figlie o l’operaio? Come al solito ho dei dubbi. Preferisco Sayyeda Muzna, forte signora e poco importa se la vedo solo perché inavvertitamente ho strofinato la Lampada. E' importante che la realtà e la fantasia si fondano insieme, per continuare a sognare e insieme vivere la realtà.

Firuzeh

giovedì 25 giugno 2009

Io, i granchi e l'Oceano Indiano


Un sole a fine pomeriggio ‘da cartolina’ che rende netto il profilo delle rocce, diventate improvvisamente scure, perché non sono più illuminate dalla luce solare; …ma poi l’attenzione viene distratta dalla vita che inizia a manifestarsi sul bagnasciuga: le lumachine di mare lasciate libere dalla bassa marea sullo scivolo arrugginito di barche fantasma; i granchi che compaiono all’improvviso, sbucando dalle vicine rocce o dalla sabbia.. . se accenni a muoverti rapidamente si infilano nella ‘tana’. Fotografarli non è facile perché ‘sentono’ una presenza. Allora bisogna immobilizzarsi, rinunciare alla fotografia sperata e cercata e con serenità guardare questi piccoli strani animali che sembra camminino a  ‘sghimbescio’, di lato, almeno così ci sembra, con una rapidità impensabile. E così il pensiero va alla vita che non sempre va avanti, ma a volte ha fatto il gambero oppure il granchio, muovendosi lateralmente, e non sempre parallelamente ad altre vite, anzi…in quante occasioni ti sei messo/a da parte con sofferenza per non intralciare altri. Sicuramente però hai fatto soffrire qualcuno, ma non lo sai o non te ne sei accorto/a e comunque pensi sempre, egoisticamente, che la tua sofferenza sia stata maggiore di quella che hai sicuramente inferto. Mettersi da parte, camminare a lato, allontanarsi...

Anche questa presenza sulle coste dell’Oceano Indiano è un movimento curioso, sembra proprio quello del granchio che scava sulla sabbia un buco perfettamente circolare nel quale si rifugia non appena intravede ombre, quelle ombre che vogliono rimanere immanenti e che dovrebbero essere scacciate con forza. Il sole quasi all’improvviso, come sempre avviene quando ci si avvicina all’Equatore, scompare e sembra che anche i granchi si nascondano o…. non si vedono più. Rimani a guardare il cielo, mentre dall’alto ti chiamano e ancora una volta ti riconducono alla realtà. Il Genio rapidamente ritorna nella sua Lampada: anche lui si nasconde veloce come un granchio,  ma sente che la sua mente  non si libera dai fantasmi che lo hanno voluto seguire anche qui. Genio, perché sei così pensieroso? Domani è un altro giorno? Che frase banale!

Firuzeh

 

Teheran, trent'anni dopo!

Settembre 1978 - 25 giugno 2009.
Non posso fare a meno di scrivere due righe su quello che sta accadendo in questi giorni a Teheran. La maggior parte dei giovani, che sono oggi nelle strade, sono nati meno di trenta anni fa, come lo era Neda, e non hanno visto quello che successe fra il 1978 e il 1979 a Teheran, a Shiraz, a Isfahan, a Rasht, e Abadan.
Sto vedendo in televisione un film già visto e vissuto in prima persona e ne sono profondamente amareggiata. Anche allora negozi e banche messe a fuoco; spari fra la folla; fiori nei fucili dei giovani soldati mandati nelle strade per mantenere l'ordine pubblico: i genitori di questi giovani di oggi, che erano allora per le strade, erano sicuri di aver scacciato un tiranno e di avere affossato un regime sanguinario.
Una notte di dicembre salì verso il nord di Teheran, come una onda, l'urlo Allah'u'akbar, di coloro che sui tetti delle basse case locali, avevano trovato un altro modo di manifestare il loro dissenso, oltre a scendere in piazza e a morire come era successo a Meidan-e-Jaleh, l'8 settembre 1978. Un urlo che diventava via via sempre più impressionante e potente fino ad arrivare alle eleganti ville di Shemiran, dove vivevano la maggior parte dei diplomatici stranieri. Io vivevo invece piuttosto in basso nella città e il mio telefono squillava continuamente nelle sere di coprifuoco, perché chi era in alto voleva notizie in anteprima su quel che stava succedendo a sud della città.
Ricordo quella notte quando questo 'rumore' saliva come una onda gigantesca e non se ne capiva il significato fino a quando non ti raggiungeva...quante telefonate preoccupate ricevetti da persone che erano spaventate da questo rumore indefinibile...per alcuni aspetti agghiacciante.
Ho letto che di nuovo i manifestanti non solo sono scesi nelle piazze ma alcune notti avrebbero fatto esattamente come i loro genitori, quando erano giovani e pieni di speranze.
Non so cosa aveva fatto il padre di Neda in quel 1978, quando probabilmente aveva venti o trenta anni: sicuramente non avrà mai pensato che dopo molto tempo avrebbe perso la figlia in dimostrazioni che ricordano troppo da vicino quelle che portarono alla fine della monarchia Pahlavi in Iran.
L'Iran è uno splendido paese con antica cultura e tradizioni. Stavo meditando di tornarci, dopo tanto tempo, perché non posso dimenticare i dolci freschi pomeriggi passati a prendere il thé a Durband, a nord di Teheran, seduta su un takté (un divano di legno orientale), vedendo scorrere un rio d'acqua limpida e gelata che veniva dal monte Damavand.
Le scene di questi giorni che la televisione ci elargisce e gli appelli dei blog da Teheran mi stanno addolorando, facendo ancora una volta riemergere tanti ricordi. Speravo anche io un cambiamento democratico, dopo un periodo di assestamento fisiologico post-rivoluzionario.
Pochi stanno parlando di quello che successe allora, anche perché i giornalisti che coprirono quegli avvenimenti sono in gran parte scomparsi. Due sono ancora in attività e scrivono: nelle loro parole ritrovo analisi di avvenimenti che comprendo e condivido in pieno. Gli attuali inviati speciali sono giovani anche loro e nel dare le notizie credono di aver scoperto qualcosa di nuovo, così come stava succedendo a me, che con beata incoscienza, ma con tanta curiosità, mi aggiravo nelle strade, durante le dimostrazioni, e rientravo in ufficio emozionata, con notizie da dare. Anche io avevo ancora la mia vita in mano con un gran fascio di speranze e determinazioni.
Oggi quel tempo è passato.
Firuzeh


martedì 23 giugno 2009

Una seconda sera sull'Eufrate, 'dopo'...

Una sera livida, come le nostre menti: le fotoelettriche illuminavano la palazzina distrutta, perché le luci di Base Maestrale si erano spente per sempre. Uno strano silenzio, forte come può essere un silenzio gravido di dolore, di tanta rabbia e di un senso di impotenza. Lo sguardo era fisso su quell'angolo di mondo violentato nella mattinata. La sera precedente venivano echi di musica da quella palazzina. Ventiquattro ore dopo un silenzio irreale e volti scavati: sguardi profondi. E' in questi casi che la maschera della vita quotidiana cade: e la tua vera personalità e maturità esce fuori...la professionalità e la vita vissuta certamente ti aiutano a mantenerti lucido e operativo.
E' stato duro affrontare le ore che seguirono all'attentato, sapendo razionalmente che 'era successo', ma rifiutando emotivamente di crederci; la necessità e la volontà ferma di continuare a lavorare erano le uniche possibilità di 'andare avanti'. 
Nella Base Libeccio, anch'essa ferita dall'attentato, non esistevano più finestre; gran parte delle porte erano divelte, così come moltissimi infissi. Alcune schegge di vetro si erano conficcate nel muro come pugnali lanciati a grande velocità. Nel toglierle, pezzetti di quel muro si staccavano e la mente subito visualizzava uno di questi proiettili in corsa: fortunatamente nessuno di essi aveva avuto un effetto mortale, solo perché non aveva trovato un essere umano sulla sua traiettoria: l'avrebbe trapassato e forse ucciso, se solo avesse toccato punti sensibili.  Computer rovesciati, seggiole rotte; per terra macchie di sangue di chi era stato comunque ferito dagli effetti dirompenti di una deflagrazione violenta, anche se a relativa distanza, cioè 'dall'altra parte del ponte'. Il resto della giornata, dopo il 'fatto' era trascorso con la determinazione di agire per non pensare: era troppo doloroso 'pensare' . Meglio raccogliere vetri infranti, risistemare uffici, considerato che altro non potevo fare; togliere polvere, lavare il sangue dai pavimenti. Aiutare a ritornare ad una parvenza di normalità quotidiana e giornaliera...per quel che era possibile. E mentre per rendermi utile facevo fotocopie e mi ero improvvisata usciere porta-carte, vedevo l'aggiornamento della lista dei morti e dei feriti e ogni tanto l'arrivo di una piastrina di riconoscimento, di un oggetto...l'apertura di una pratica, con un contenitore contrassegnato da un nome e una croce e una busta dove a mano a mano finivano gli oggetti personali  ritrovati 'al di là' del ponte.
Così il tempo passava e si arrivò a metà pomeriggio, quando con pragmaticità militare, condita da una buona dose di umanità, ancorché ferita, arrivarono dei panini, che i cuochi della Base, dopo un turno di guardia, avevano voluto fare per riproporre appunto una ripresa di normalità di vita. Lo stomaco era chiuso e quel panino che mi costrinsero a mangiare, l'ho trangugiato e non ricordo cosa vi fosse dentro.
Il mattino dopo, sotto un cielo azzurro come le cupole delle moschee sciite, le orbite vuote di Base Maestrale, spazi ormai aperti, trapassavano a mò di spade l'atmosfera, ricordo vivo e costante di un evento tragico forse preannunciato, ma non atteso.
Di fronte ad un pugno di terra raccolta lì, tra le macerie della palazzina, terra che qualcuno, intuendo un tuo desiderio non espresso per pudore di sentimenti, ti ha portato in un contenitore di fortuna dal coperchio arrugginito, tanti ricordi riemergono ogni volta che riprendi in mano quella terra senza significato per altri, ma che per te rappresenta una prova di vita.
Non sono riuscita a versare lacrime, nemmeno nella Basilica di San Paolo, quando entrarono, avvolti nella bandiera tricolore, 'coloro' con i quali avevo avuto un appuntamento non onorato. Non ricordo i discorsi che furono fatti in quella occasione: me ne stavo rannicchiata su una seggiola e quando la cerimonia finì, li seguii con lo sguardo fino all'uscita e qualcosa si sciolse solo quando abbracciai alcuni dei sopravvissuti, ma ancora nessuna lacrima.
Quel giorno sono tornata a casa a piedi, dalla Basilica al Vaticano: non ricordo come...perché continuavo ad essere lì, sulle rive dell'Eufrate. La mia mente è tornata solo quando, dopo cinque mesi, il regolare avvicendamento riportò in Italia degli amici che erano rimasti ad operare di fronte ai resti della palazzina devastata.
Le lacrime mi avrebbero aiutato a metabolizzare prima quanto avevo vissuto, ma è passato quasi un anno prima che, al pensiero di quanto era successo, riuscissi a piangere.
E la vita è ricominciata. E' vero: non dovremmo guardarci indietro. I giorni passati sono candele ormai consumate, come ricordava Konstantin Kavafis in una sua poesia.
Firuzeh

lunedì 22 giugno 2009

Una rassegnazione antica


Mercato del pesce di Quriyat, un villaggio a pochi chilometri da Muscat, attuale capitale dell'Oman. Un edificio nuovo, con piastrelle bianche...ovviamente con un inconfondibile sgradevole odore di pesce e sangue marcio, rappreso a terra, a circa 45° all'ombra: tonnetti, squaletti, pesci vari grandi e piccoli. Chi puliva, chi sezionava con la seghetta elettrica gli esemplari di grande taglia. Presenza di ghiaccio in alcuni contenitori, ma la maggior parte della merce era in esposizione, senza alcun tipo di preservazione dal calore: poco pesce, per la verità, perché ormai alle 9 del mattino, parte degli acquisti erano già stati fatti. Ma proprio in questo mercato ho fatto un incontro 'umano', forse il più bello della mia permanenza in questo sultanato che una volta era composto da quello di Muscat, dall'Oman e dalla favolosa isola di Zanzibar.

Negli occhi degli anziani trovi spesso molti sentimenti non espressi: negli occhi di un vecchio pescatore di Quriyat ho visto un mondo e dal suo sorriso paziente ho ricevuto tanto.

Sapevo che non potevo fotografare le persone e quindi inquadravo solo il pescato. Poi la mia guida mi ha detto che potevo fotografare quel vecchio pescatore che sorridendomi alzava i vari pesci di fronte a lui. Un sorriso rassegnato, dolce, con gli occhi che però fissavano un tempo lontano, molto lontano: mi sentivo presente, ma trasparente e lo speravo quasi, perché mi ritenevo ormai fuori posto, turista insulsa, inutile, con il mio cappellino e la mia macchina fotografica, mentre lui con grande pazienza, questa volta guardandomi negli occhi, con una rassegnazione antica, sollevava un altro grande pesce per agevolarmi la foto.

Avrei voluto parlare con il vecchio pescatore, ma il dialogo non era possibile per tanti motivi…allora con i miei occhi e con un sorriso, forse triste (perché in quel momento lo ero diventata), ho cercato di trasmettere calore, amicizia, e tanta umana gratitudine per il suo gesto, non richiesto,  e il suo sorriso. Il mercato era svanito per me, come le persone attorno, calamitata da questa antica presenza. Non potevo parlarne con la mia guida, un giovanotto locale, con Ipod e telefono cellulare ultimo modello: non mi avrebbe capito. Una grande differenza fra vecchie e nuove generazioni.

Un attimo, forse qualche secondo...tornando poi alla realtà, ho chiesto alla guida se dovevo qualcosa al vecchio e dignitoso signore per la sua gentilezza, anche se mi sembrava proprio che non fosse il caso mettergli in mano una cifra, quale, poi? Infatti la guida mi ha detto di no. 

Uscendo dal mercato, mi sono voltata e di nuovo gli ho sorriso: non so se mi ha visto o se di nuovo guardava oltre gli umani come se essi fossero pure trasparenze.

Credo, spero di avere imparato qualcosa dal  sorriso di quell’uomo omanita, così lontano da noi nel tempo e nello spazio: il suo viso più che nella mia mente, si è stampato là dove i sentimenti sono ricchezza umana, anche se non li puoi esternare. 

Firuzeh

Gli occhi di un bimbo e il senso della vita

I bambini sono meravigliosi: i loro occhi, giovani e curiosi, sanno vedere quello che gli occhi di un adulto non vedono più... perché l'adulto ha visto molto, forse troppo, ma soprattutto crede di avere visto quasi tutto... e non si sofferma a vedere 'la farfalla sul fiore' considerando la bellezza dei colori che la natura offre, perché è troppo distratto dal corso della vita che ha vissuto e che pensa di vivere. Ho di nuovo riflettuto su questa mia convinzione da sempre, perché nel giro di una settimana due amici, di età assai diversa, mi hanno detto che sono una donna-bimba...la mia reazione all'amico più giovane di me che per primo mi ha scritto questa sua idea non è stata molto positiva quasi sentendo nelle sue parole una velata critica. 

La vita è molto, troppo difficile a volte e le delusioni sono profonde in molti settori e con molti amici; poi la curiosità, per quel che ci circonda, la voglia di conoscere e di imparare,  che altri forse sentono come dimostrazione di immaturità, ti aiutano a riprendere un percorso e soprattutto a valutare, ad esempio,  nei conoscenti e nei pochi amici veri solamente i loro lati positivi , cercando di mettere sotto al tappeto quelli negativi, come si fa  quando si vuole nascondere polvere di vario genere, per salvare l'affetto e la comunanza di interessi...se c'è. 

Dopo pochissimi giorni, un altro amico, più vecchio di me, mi ha ripetuto lo stesso commento di donna-bimba dicendomi, con la saggezza di chi ha vissuto almeno un decennio più di te, che questo era un grande dono che la natura mi ha regalato. 

Forse questo è uno dei tanti sensi della vita: continuare a guardare, quando possibile, con gli occhi curiosi e ingenui di un bimbo, insieme con un cuore di poeta. Non sei al riparo dai dolori e dalle delusioni, ma riesci ancora a 'vedere' intorno a te attraverso una lente di grande positività, che ti permette di gioire sempre e comunque, metabolizzando il negativo che ti circonda.  Cerco di far così: non sempre riesco a valutare tutto positivamente, ma quando i miei occhi si convertono in quelli di una 'bimba', allora sento che sto vivendo un momento speciale.

Firuzeh








 

 






martedì 2 giugno 2009

Un deserto dell'anima: la gelosia

La gelosia è un sentimento umano, comune, anzi comunissimo. A volte però diventa patologia che fa star male chi la prova e chi la subisce senza reagire, convertendo alternativamente i due soggetti implicati in vittima e carnefice.
La gelosia patologica (che in quanto patologica diventa persecuzione compulsiva), in una coppia, a volte per imporsi, tende ad annullare l'altro, l'oggetto del sentimento, ad annichilirlo al fine di continuare a detenerne il possesso. Far credere all'altro/a che è una nullità oppure che è all'origine di tutti i suoi mali fisici e morali, così da costringerlo/a in un angolo e instillargli con determinazione la falsa idea di essere veramente una persona cattiva o ingrata. Se poi l'altro/a ha fragilità psicologiche, l'obiettivo è raggiunto. Spesso la gelosia viene millantata come grande amore, conseguenza di un grande imperituro affetto che l'altro/a non capisce e che comunque riceve senza dare quanto ci si aspetta...ecco il vero problema.
E poi si fanno artatamente intendere  anche eventuali minacce di suicidio, raramente attuato, perché la gelosia patologica è un sentimento egoistico, che raramente porta alla distruzione di se stessi. Oppure dopo una scenata di gelosia, sempre allo scopo di riprendere il controllo dell'altro/a, si rifinisce la questione (ironicamente lo definerei 'siparietto') o incolpando l'altro/a di una solitudine ipotetica o invece dicendo all'altro/a che  si ha bisogno di quella persona, per sopperire ad alcune carenze che sono comuni ai due coinvolti. Spesso poi si affaccia il rancore, dopo la gelosia patologica: e poi di nuovo la gelosia, in una alternanza di disfacimenti di vita. Gli anni passano e il problema non viene risolto.
Il sentimento della gelosia è umano, ma serve la razionalità e l'intelligenza e un certo controllo su se stessi per ricondurla al giusto posto nei propri pensieri e nella propria vita. Per non avere una vita difficile e non renderla altrettanto difficile a chi crediamo di amare con tutte le nostre forze. 
L'amore è un sentimento che noi proviamo, coltiviamo, amiamo: non dovremmo mai imporlo all'oggetto del nostro amore. Se lo imponiamo, vuol dire che amiamo noi stessi più dell'altro/a.
Questo tipo di amore può far soffrire molto, ma riesce a far fiorire comunque l'anima, evitando il deserto dei sentimenti, che è angosciante e distruttivo.
Amore dovrebbe essere  dare, senza aspettare nulla in cambio... troppo spesso non è così.
Firuzeh

sabato 30 maggio 2009

Un atterraggio 'indimenticabile'!

Chi di voi ha mai fatto un atterraggio su un bimotore da 30 posti, seduta sui braccioli dei piloti, senza cintura allacciata e con uno dei due che...fumava una sigaretta! Atterraggio su una piccolissima pista. Ebbene può succedere ed è successo in un lontano paese della penisola araba...circa 40 anni fa.
Da Addis Abeba dovevo trasferirmi a S... e tramite amici, trovai un passaggio gratuito contrabbandato come 'prova di hostess'  (felicissima perché in quel tempo non avevo disponibilità di denaro), su una piccola linea aerea locale. La 'scaletta' per entrare nel velivolo era una autentica scaletta: intendo dire che era una scala piccola di metallo di tipo casalingo. 
Consegnai brevi manu la mia valigia, alquanto grande, e salii anche io, dopo un signore con tanto di pugnale (djambia) addosso (del resto faceva e fa ancora parte dell'abbigliamento normale degli uomini nel paese dove stavo per andare) e la sua pecora (o montone, non ricordo, ma assicuro che trattavasi di quadrupede). Mi seguì un altro distinto signore, stesso abbigliamento del primo, con samovar al seguito. Beh, meglio il samovar che la pecora, pensai, ma ancora non sapevo cosa sarebbe successo.
Il piccolo aereo decollò e il mio sedile non era molto ben ancorato al pavimento: poco male, con un cartoncino o similare si riuscì a fissare; cercai la cintura di sicurezza: ve ne era solo un pezzo.
Beata incoscienza di una giovane ricercatrice: mi stavo divertendo.
Ci fu anche il servizio a bordo: thé caldo con biscotto...realizzato usando il samovar, gentilmente prestato dal passeggero, con fornelletto, stile campeggio d'epoca, parte dell'attrezzatura di bordo. Prima tappa: T.; ... scesero tutti e vennero fatte scendere anche le valigie dei passeggeri, che erano stivate dietro di noi. Distratta dalla discesa del quadrupede, che non ne voleva sapere di fare tre gradini (ma fu amorevolmente preso in braccio dal suo padrone) non mi accorsi subito che gli addetti (!?) ai bagagli nel loro zelo lavorativo, avevano preso anche la mia valigia. Mentre rullavamo me ne accorsi e in modo concitato dissi in inglese ai piloti (ero rimasta l'unico passeggero) che bisognava riprendere la mia valigia. Nulla di più semplice: il velivolo si fermò, uno dei piloti urlò qualcosa in arabo e vidi un ansimante giovinotto (con jellaba bianco-grigio) trascinare il mio bagaglio che fu issato a bordo con fatica da me (il cosiddetto steward aveva terminato il proprio turno): del resto ero 'in prova' come hostess. Decollammo e dopo poco tempo fummo in vista della splendida capitale. Mi fu chiesto in inglese se volevo vedere come si atterra. Due braccioli dei piloti furono uniti per farmi stare seduta e poiché non ero in equilibrio, mi dovetti reggere abbracciando le spalle di coloro che mi dovevano portare in salvo a terra e arrivammo sani e salvi. Trovai all'epoca avventuroso e interessante vedere un atterraggio così da 'vicino'. Aperto il portell...ino, un'ondata di aria desertica mi fece subito capire dove ero arrivata. Formalità di dogana ridotte al minimo: ero ospite di un mio laureato a Perugia, che era il figlio di un importantissimo personaggio locale. Quello che mi turbò un pò fu la scorta: barbutissimi signori armati e con munizioni a tracolla stile bandoliera. Il giorno prima c'era stato un attentato di matrice politica e quindi...meglio prevenire che reprimere. Del resto avrei capito dopo che di stranieri in quella terra in quel momento eravamo solo in due, io e un inglese (del quale non ho mai capito la presenza in loco), che si trovava peraltro in un'altra città. Lo avrei incontrato successivamente e avremmo fatto un altro 'indimenticabile' viaggio insieme su un tassì per più di duecento chilometri. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.
Arrivata in loco e ospitata in casa privata, dove avrei capito come si viveva nel medioevo da quelle parti, doverosamente mi presentai alle nostre Autorità consolari (un giovane cancelliere con una deliziosa moglie). Premesso che ove abitavo, non esisteva doccia o vasca da bagno, appena andavo a casa di questi giovani amici italiani, la prima cosa che mi veniva offerta, dopo il classico bicchiere di acqua, era l'uso voluttuoso della sala da bagno con annessa vasca. Ho sempre pensato che, causa caldo, i miei ospiti italiani pensavano prima al mio benessere fisico che a quello spirituale! Attenzione che poi avrebbe giovato anche al loro olfatto.
Fu un mese speciale. Fui trattata con grande ospitalità, quella araba, splendida: fu il mio primo incontro con questo modo di ricevere gli ospiti, sia sotto una tenda sia in un palazzo, sia in una modestissima casa. Mi sentivo quasi una regina ...e in effetti mi diedero un soprannome 'malika' (regina), perché stabilirono che io portavo la 'baraka', la buona sorte. Dopo anni che non avevano visto una goccia di pioggia, il giorno del mio arrivo...'tanto tuonò che piovve', peraltro assai poco: i miei occhi azzurri da maga avevano fatto il miracolo. La pioggia, sia pur breve e risicata, era stata un avvenimento. Da quel giorno dico sempre ai miei amici: guarda che porto la buona sorte..e qualche volta accade davvero!
Andai in vari posti...tra deserto e altopiani. Ricordo ancora il profumo e il gusto dell'acqua di rose e di una specie di gelato fatto con le rose: anche questa sensazione è indimenticabile! Quel medioevo aveva un suo grande fascino.
Ora molti turisti visitano questo stato, apertosi al mondo esterno: allora nessuno ci andava. Io lo ricordo con l'occhio della memoria delle tante avventure di conoscenza che ebbi. Ho nostalgia? Sì, della meraviglia che provavo in ogni momento; tutto era nuovo ai miei occhi e mi aiutava a tornare a vivere: lo capii appunto sotto gli eucalipti di Addis Abeba, quando mi fu chiaro che, nonostante quel che avevo passato di profondamente doloroso e per alcuni versi annichilente, avevo tutta la vita in mano. E capii anche che la curiosità mi stava salvando... e continua sempre a salvarmi, dopo qualche prova difficile che la vita ci offre o che abbiamo con incoscienza cercato.
Sto tornando lì vicino, dopo numerosi lustri e spero che il mio lato 'infantile' , che curo affinché non scompaia mai, dispensi ancora tanta meraviglia nei miei occhi e che di nuovo diventino quelli di un bimbo al suo primo viaggio. 
Genio esci dalla Lampada di Aladino: ti porto con me nei tuoi luoghi natii. Fammi sognare: ne ho bisogno, come tutti gli esseri umani.
Firuzeh

 


martedì 26 maggio 2009

Un deserto dell'anima: la rabbia


Avete mai avuto un senso di impotenza che si concretizza in rabbia? A volte si deve cedere, ma se cedi di fronte ad una persona che stimi e ammiri, riesci a farlo senza che ti cresca questo sgradevole sentimento dentro. Il problema invece si pone quando devi cedere di fronte a chi non stimi affatto. E allora è molto dura. La rabbia ti procura una desertificazione dei tuoi sentimenti fino ad arrivare ad una aridità della quale non ti rendi conto, perché quel sentimento s’impone e oscura tutti gli altri. Quando comprendi questo mutamento ‘ambientale’ del tuo io, ti spaventi e cerchi di por rimedio facendo un’analisi seria, cercando di capire perché hai tanta rabbia in corpo. La imputi a quell'ombra che è dietro chi stimi e ammiri, e credi che sia l'ombra a costringerti a cedere. Invece non ti accorgi che chi ti provoca la rabbia non è quell’ombra che pilota tutto. È proprio chi è pilotato all’origine vera della tua rabbia perché con connivenza e ben nascosta fragilità lascia l’ombra pilotare il suo strano universo, del quale si lamenta sempre, ma che accetta,. Lo fa per costume? Per dovere sociale? Per debolezza? Per quieto vivere? Per quale altro motivo? Eppure si lascia indicare quasi tutto e segue la strada che l'ombra profondamente egoista e profittatrice indica. E quindi la stima per questa persona debole scende, scende inesorabilmente. E accanto alla rabbia allora si affaccia la delusione di aver sbagliato ancora una volta la valutazione di un essere umano, di non aver capito una parte di quella persona ben occultata. Spesso alla rabbia si sostituisce una umana compassione e la pena per chi lascia pilotare agli altri la propria vita, in modo da farsela rendere difficile, agra e qualche volta impossibile...altri che non si curano della sua vita, a proprio esclusivo beneficio di matrice egoista.

I più giovani non conoscono un cantautore molto famoso alla fine degli Anni Settanta, Stefano Rosso, poi dimenticato. Morì poco tempo fa e si ritrovarono i suoi dischi digitalizzati..sulle bancarelle. Stefano Rosso accompagnò una mia lunga permanenza in Francia. Tra le sue belle canzoni testimonianza di un'epoca particolare in Italia, vi è 'Bologna 77', forse la più poetica di quelle che ha scritto. Nel testo: '...e poi primavera...e qualcosa cambiò..

qualcuno moriva e su un ponte lasciò,

lasciò i suoi venti anni e qualcosa di più....

e dentro i miei panni la rabbia che tu

da sempre mi dai, scavando nei pensieri miei,

guardandoli poi dall'alto all'ingiù,

ma forse io valgo di più...'

Penso spesso a queste parole: non so se valgo di più; certamente no... Forse solo la pena e la compassione cancellano la rabbia facendo rifiorire un deserto dell'anima. Due rose nel deserto, le rose di Shiraz, le rose del poeta Hafez e quelle di Omar Khayyam, sotto il Sio-Se Pol (il Ponte delle trentatre arcate) e di fronte a Chehel-Sotun o Quaranta Colonne (venti sono quelle vere che raddoppiano rispecchiandosi nello specchio di acqua antistante). La rabbia è svanita nell'incanto delle faience della cupola della Madrasseh-Madar-e-Shah o del mausoleo di Soltanieh, nell'arida piana di Zanjan in Iran. Il cielo di Shiraz è di un azzurro speciale e l'aria è frizzante: domani me ne andrò in un caravanserraj nel deserto e tutto sarà dimenticato.

Firuzeh





domenica 24 maggio 2009

Un sogno

Ho portato con me la Lampada di Aladino nel deserto ma il Genio mi ha fatto uno scherzo, un brutto sogno: vedo un maelstrom, un gorgo. No, sono sabbie mobili: io sono sul bordo della zona pericolosa cercando di evitare di farmi risucchiare dentro, ma vedo il viso di un amico che mi chiede aiuto. Sta sprofondando. Gli tendo una mano, un braccio; lo prende, ci si avvinghia, almeno così mi sembra. Per un certo periodo di tempo evito che sprofondi ancora; con sforzo cerco di tenerlo e di riportarlo sui bordi. Scivola di nuovo. Gli tendo una lunga pertica; sono lontana, ma l'afferra. Però qualcosa o qualcuno continua invece a trascinarlo giù, sempre più giù. Ora la sabbia gli lambisce la vita, sale inesorabilmente. Il mio amico potrebbe con uno sforzo imperioso salvarsi, ma non ne ha la forza: forse non vuole; mi guarda e lascia andare la pertica. Ha deciso di non ribellarsi a un destino che forse avrebbe voluto diverso, ma che si è creato con le sue mani: quisque faber della sua vita. Debolezza? Rassegnazione? Non lo so. Continua a scendere senza lottare: ora è in fondo al gorgo, non più sulle sabbie mobili; e io sono ai bordi del maelstrom; sta scomparendo; qualcuno lo tira inesorabilmente verso il fondo, nonostante il mio aiuto. Me lo aveva chiesto, questo aiuto, almeno così avevo creduto; ora lo respinge. Vedo i suoi occhi scuri e profondi che mi guardano a lungo con intensità, ma con rassegnazione. Scompare nei flutti e...la sabbia lo ricopre cancellando le tracce di quel che era il mio ricordo. L'amico è scomparso... Il dolore per la sua sparizione mi sembra insopportabile e il mio cuore forse si sta troppo affaticando.
Mi sveglio e mi chiedo se era solo un sogno.
Firuzeh

sabato 23 maggio 2009

un ritaglio di giornale

Difficile mettere a posto tante carte e tanti documenti, ma di tanto in tanto ci si riesce almeno in parte. Ieri ho ritrovato tutta la cartella dei ritagli di giornale del gennaio, febbraio 1979: giornali locali stampati a T...... e ho visto una foto, di quelle tremende: chiare e nitide. Un uomo crivellato di colpi su una lastra di acciaio. Serve ai vincitori pubblicare tali foto per assicurare il popolo che i 'tiranni' sono stati eliminati. E allora ho avuto un ricordo...l'ultima volta che avevo visto quell'uomo vivo. 
Una splendida giornata di sole: un concorso ippico a ostacoli fra due team. Uno di quegli incontri di amicizia 'fra i popoli', difficile peraltro soprattutto quando una squadra, quella ospitata vince a man bassa tutte le gare. Quella locale le avrebbe vinte tutte se si fosse trattato di abbattere gli ostacoli e non di superarli: tanto che noi, rozzi sostenitori della nostra squadra, ci chiedevamo ironicamente che forse non era stato spiegato a quella ospitante che in simili tornei bisognava che il cavallo saltasse gli ostacoli e non li abbattesse...e continuavamo sempre con ironia corrosiva divertendoci un poco malignamente alle spalle dei cavalieri locali.
Facevamo un tifo piuttosto rumoroso, tanto che il sovrano regnante, esattamente situato di fronte al gruppetto vociante, aveva chiesto al rappresentante diplomatico, chi fossero quei giovani esuberanti...ricordo che pur avendo diritto alla tribuna d'onore - certamente in ultima fila - avevo optato per l'anonimo posto sulle scalinate...allo scopo appunto di essere libera di esprimere il mio entusiasmo per la mia squadra; entusiasmo notato anche da chi forse non lo doveva notare...mi costò una reprimenda del mio Capo e quindi ad un ricevimento, forte della mia giovane età, dell'occhio azzurro (rarità in quelle lande) e del capello lungo e biondo, presentai delle mezze scuse al Presidente della squadra ospitante; scuse galantemente accettate.
Ci fu la premiazione: i nostri, per savoir faire, riuscirono a far vincere uno o due coppe agli 'altri', rallentando i cavalli; distruggendo a fatica qualche ostacolo e facendosi penalizzare per rifiuto ......del cavallo di superare l'ostacolo, indotto 'ad arte' da un cavaliere professionista.
Alla fine, giro di campo delle squadre per salutare le Autorità e il pubblico. Per farmi perdonare, quando passò la locale, mi alzai in piedi, battendo forte con i piedi sul pavimento di legno della tribuna  gridando 'bravi, bravi!!!' , mentendo sapendo di mentire, ma 'noblesse oblige' e lo sguardo, che immaginavo minaccioso, del mio Capo, 
Manoucher K., comandante dei paracadutisti, su un bellissimo purosangue e Nader J., Capo di Stato Maggiore dell'Aviazione,  su un altrettanto splendido cavallo grigio si fermarono e mi salutarono militarmente sorridendo. Il nostro gruppo si unì a me per salutarli con forti applausi. Ci facemmo perdonare. Io ricevetti il primo di numerosi saluti militari che avrebbero poi caratterizzato una parte della mia vita. Una giornata di sole. Allegria e serenità. Gioventù. Non sapevamo che cosa stava per succedere.
Fu l'ultima volta che vidi ambedue vivi. Manoucher K. si era lasciato prendere nella 'Città delle Rose', eppure avrebbe potuto combattere...Finì giustiziato con Nader J. sul tetto di una piccola casa nei sobborghi di T....senza processo o quantomeno una farsa di processo sommario. Avrei perduto altri amici e conoscenti. Il mio primo vero incontro con Lei, la Signora: ma la vidi solo da molto lontano. E iniziai a capire che nella vita non c'è solo la giustizia.
Manoucher e Nader: vi voglio ricordare così, nel sole, sui vostri cavalli. Avete forse errato, ma ormai è tutto 'livellato', come avrebbe detto il principe Antonio de' Curtis...
Firuzeh


venerdì 15 maggio 2009

Caravanserraj

Il ricordo del percorso per arrivarvi si è sfumato perché ha prevalso un altro ricordo, molto più potente e prepotente. Deserto Centrale in Iran: un gruppo di trentenni, quarantenni, molto affiatato. Un egiziano, due spagnoli, due greci, una coppia tedesco-egiziana, due svizzeri, un tunisino, una italiana, due iraniani: insomma il Mediterraneo unito, la scoperta delle affinità elettive (soprattutto nelle tradizioni letterarie, artistiche e culinarie) che aveva cementato giovani e meno giovani. Land Rover, tutte targate corpo diplomatico. All'imbrunire, percorso calcolato come nei secoli passati, ci siamo fermati in un vecchio caravanserraj, che era appena stato molto spartanamente riattato per accogliere, come nel passato, viaggiatori di quelle terre: noi arrivammo con le Land...moderni cammelli e dromedari di carovane vocianti.
Non c'era luce elettrica: grandi fuochi accesi nel cortile e nelle 'cellette' solo una candela e una brandina da campo. Dopo un buon 'chelo-kebab' molti intorno al fuoco a...giocare a carte.
Io me ne andai zitta zitta sul tetto del caravanserraj perché come al solito avevo bisogno dei miei dieci minuti di solitudine: non avevo però ancora scoperto il senso del deserto. Fu su quel tetto, da sola, seduta con le gambe incrociate, che iniziai forse a capire...
Notte senza luce elettrica; cielo scintillante di luci stellari. Sotto, intorno al fuoco, le voci che per me lentamente sparirono. Non le sentivo: si allontanavano sempre più fino a che io raggiunsi la sensazione del silenzio più totale. Ascoltavo solo la voce del deserto, sussurrante quella volta, soave: mi sentivo leggera. Era come se fossi uscita da me stessa e mi guardassi da fuori: parte integrante di quella realtà forse onirica. Mi ero fusa con il deserto, con la sua voce, con il suo cielo di luce. Ricordo di aver provato una grande serenità per essere immersa in quella calma totale. Continuavo a osservarmi con attenzione, immobile come ero, incastonata in luogo senza tempo, una figura minuta rispetto ad una immensità che poteva annullarti o darti il senso dell'appartenenza, dell'identità ancora cercata.
Non so quanti minuti ...o ore.. passai così: avevo perduto completamente la nozione del trascorrere del tempo. Ad un certo punto tornai a sentire delle voci che mi chiamavano con ansia; dovetti tornare in me:  un amico egiziano mi raggiunse sul tetto e affannosamente mi disse che erano tutti preoccupati perché non avevo risposto: temevano che fossi uscita dal serraj e mi fossi perduta nella notte. Li vidi anche un pò seccati della mia 'sparizione'. Ho fatto una fatica tremenda ad assumere un'aria contrita scusandomi. Sono scesa: me ne andai nel mio cubicolo a dormire. 
Quella notte ho stabilito una alleanza personale con il deserto, con i deserti. Sento imperiosa a volte la loro voce che mi chiama e mi invita a ritrovare la mia identità smarrita, dopo errori, dolori e delusioni, promettendomi che mi darà sempre quel conforto che cerco e che trovo solamente in loro compagnia. Ho bisogno di voi, dei miei deserti: voi mi ridate sempre la mia serenità che oggi mi manca. 
Firuzeh


martedì 12 maggio 2009

una sera sull'Eufrate

Quella sera, una sera senza storia, eravamo in tre seduti su uno scalino...guardavo il cielo e le stelle.  Intorno a noi finalmente silenzio, quello che io desideravo, soprattutto la sera, per raccogliere le mie impressioni e sentire quell'atmosfera che già avevo conosciuto in un ambiente simile tanti anni prima. Mi piaceva ascoltare la voce del muezzin che salmodiava chiamando i fedeli alla preghiera della sera, per me era una voce conosciuta, direi quasi amica. Per altri era un fastidio, la sentivano come una minaccia; per me non lo era. Mi rendevo conto che avevamo una sensibilità diversa dovuta a vite maturate in modo differente. I due accanto a me parlavano di argomenti assai seri e io ascoltavo con un orecchio solo, perché l'altro era impegnato a cercare di sentire silenzi...anche se dall'altra parte del fiume di tanto in tanto arrivavano echi di musica. E poi i miei occhi di nuovo scrutavano il cielo. Mi sarebbe piaciuto starmene da sola ma il contesto voleva che non mi alzassi da quel gradino, o forse l'educazione non mi permetteva di alzarmi e dire, signori, io me ne vado a passeggio per i fatti miei. In fondo loro erano lì per fare compagnia a me...quasi tutti gli altri erano al di là del fiume, da dove veniva la musica.
Le altre sere avevo amato di più il muezzin e l'incanto del salmodiare in arabo classico. Quella sera c'era qualcosa che non andava per il verso giusto, un lieve disagio del quale credevo di sapere la ragione per puro istinto di chi ha vissuto realtà di quel mondo. Solo il cielo cobalto mi rasserenava e spesso con aria falsamente distratta guardavo in sù e comunque ero esonerata dall'interloquire perché ciò di cui i due parlavano non era strettamente di mia competenza, anzi non lo era affatto. Era più opportuno far credere di ascoltare diligentemente...mentre cercavo di capire quel che veniva detto nella preghiera della sera: si sentivano tutte le parole, essendo gli altoparlanti della moschea rivolti verso di noi, ma la mia minima conoscenza della lingua mi faceva solo afferrare qualche rara parola. Mi era però facile distinguere il salmodiare dalla 'predica'.
Spesso guardavo anche il fiume: strano, lo sentivo nemico, soprattutto di notte: ognuno di noi ha un rapporto diverso con gli elementi della natura. Quella parte di Eufrate proprio mi era ostile. Perché? Non lo saprò mai. Dovrei tornarci per capire. Non potrò, non credo.
Quella sera non riuscivo a concentrarmi, non so ancora perché, forse erano i due che pur ragionavano di fatti importanti...le altre sere ero riuscita a ritagliarmi dieci minuti da sola con i miei pensieri e il mio deserto ai bordi della città, verso il quale andavo sempre le mattine successive a scoprire, a capire, a sentirmi soprattutto parte di esso.
Quella fu l'ultima di una sera senza storia in quel luogo.
Firuzeh

domenica 10 maggio 2009

una Signora

Signora, ho di Lei una visione molto lontana, anche se l'ho vista in faccia. Erano le 9.30 di un mattino normale, senza storia. Mi disse bruscamente di allontanarmi. Non sapevo chi Lei fosse e comunque ubbidii, portandomi con me altre quattro persone. Passammo una mezz'ora splendida in mezzo a tante tavolette sumere rotte, a pezzi, sepolte nella sabbia; erano tante e le calpestavamo. Ho dovuto lottare tra la voglia di prendere un pezzo e metterlo di soppiatto nella tasca del pantalone tecnico e la coscienza di cittadino responsabile di  lasciare quei reperti comunque importanti anche se a pezzi, pezzettini, là dove erano e dovevano restare. Non faceva tanto caldo e la sabbia non si alzava. Una grande emozione essere lì: un momento particolare per chi ha grande rispetto per le civiltà antiche; un cielo limpido e l'impressione di entrare in una 'biblioteca' un pò speciale, così come sarebbe entrare nella 'Villa dei Papiri'...; calpestare una biblioteca mi sembrava quasi un sacrilegio. Ancora tanta emozione, forse troppa, e un senso di strano disagio.
Riflettendo su quel che avevo visto, rientrando per andar a prendere notizie sui rinvenimenti archeologici già fatti e, di certo, anche un buon caffé (avevo un appuntamento...) sentii un ronzar continuo di elicotteri, minaccioso non gioioso, sempre maggiore il rumore, una colonna di fumo, la radio che gracchia, una corsa folle verso la colonna di fumo...
Non ho mai più preso quelle informazioni; non ho mai più preso quel caffé; non ho mai più potuto onorare quell'appuntamento...
Signora, lì per lì non la ringraziai di avermi ingiunto di andarmene. Avrei voluto essere lì da Lei, con Lei: mi avrebbe risolto tanti problemi.
Oggi, Signora, capisco che non ero nel Suo elenco, almeno per il momento. 
Mi sono adeguata al Suo volere, ma si ricordi anche Lei che l'ho vista in faccia e che non voglio aver paura di Lei. Ho fatto tante altre esperienze anche se a volte la stanchezza si fa sentire soprattutto quando ti accorgi di aver fatto tanti altri errori che avresti potuto e dovuto evitare.
Se oggi La ringrazio? Certo Signora, Lei a volte è lungimirante ma è pesante riconoscerlo! 
Non ancor Sua, Firuzeh.


sabato 9 maggio 2009

Pausa week end

Oggi Genio non risponde...forse è in pausa week end. La Lampada di Aladino sembra spenta. Siamo off fino a lunedì mattina...dice una antipatica vocina sintetizzata. Eh, no, mio caro Genio, mi risulterebbe che il tuo contratto di lavoro preveda una operatività ad H24.  Però forse hai ragione: anche la vostra categoria di lavoratori ha diritto al riposo, alle ferie pagate, ai congedi parentali, quelli di malattia (tu però hai una salute di ferro da almeno due secoli, quasi): conquiste democratiche e sociali. Scusa: e quando chiudi per ferie, metti il sostituto?
Va bene, mi autogestirò. Hai lasciato uno dei tuoi flying carpets in parcheggio e poiché me ne hai dato l'uso, parto anche io. Vedo che mi hai lasciato una notina con l'itinerario che hai predisposto per me in questo fine settimana, evitando qualsiasi deserto. Potevi anche chiedere il mio parere, no? 
Iran, Khiaban-e-Manoucheri, la strada dei 'tappetari', in un negozio, dove un gentile venditore di tappeti mi indica dove 'parcheggiare' il mio mezzo, lì, lì proprio su quella pila di tappeti Nain e Khoum, dove sta seduta, gambe ciondoloni, una signora bionda. 
'Signora, scusi, mi fa posto che devo metterci anche il mio bel tappeto piegato?' Ma io questa signora la conosco e anche bene...poi scoprirò chi è, se mi ricordo...
La pila è alta e da questa si vedono bene i tappeti che il mercante mostra a tanti visitatori, tutti sistemati comodi proprio sulle pile. Tutti con un bel bicchiere di 'chai' in mano e uno o due cubetti di zucchero in bocca che gonfiano la guancia: i veri conoscitori non mettono lo zucchero a sciogliere nel té, ma si mettono i cubetti in bocca in modo che ad ogni sorso di liquido, un poco di zucchero scivola via e addolcisce una bevanda a volte amara.  Ho mantenuto questo modo di bere  il té quando sono lì, nei paraggi. Lo faccio automaticamente anche se compagni di viaggio mi fissano con lo sguardo a punto interrogativo...ritenendomi non poco maleducata.
Ogni tanto qualche gruppetto di aspiranti clienti viene invitato a scendere perché si passa alla esposizione dei tappeti proprio di quella pila. Come sono belli questi manufatti di lana e seta, ma un flash passa nella mente: li ho visti i telai a volte situati in camere senza finestre o solo con un piccolo pertugio che fa filtrare un poco di luce; altre volte invece sono in ampie camere con tanta luce...donne di ogni età, anche piccole bambine che stanno imparando come fare i nodi, un'arte antica artigianale che ha un fascino, che richiede sacrifici e che non sempre viene fatta liberamente, ma a volte è sfruttamento del lavoro minorile. Nelle tribù Kashkai non era schiavitù, era un lavoro con il quale in parte ci si sostentava, appunto una 'professionalità' da imparare e tramandare con orgoglio.
In un'ora almeno un centinaio di tappeti vengono proposti agli occhi increduli e avidi dei presenti: chi se ne intende guarda e apprezza e chi non ne sa niente, teme di comprare o compra qualcosa che domani non gli piace più. Devi sintonizzarti con un tappeto: la sua poesia è nel modo con il quale ti accarezza il piede nudo, come ti accompagna con i suoi colori; un tappeto non dovrebbe mai sentire la suola di una scarpa, ma solo le dita di un piede che si posa sicuro su un velluto di nodi. 
La signora bionda indica due articoli, belli direi; glieli caricano in macchina e lei parte ridendo.
E' ora di andare a pranzo a Meidan-e-Sabs, all'ingresso del bazar, dove fanno uno dei migliori chelo-kebab-koubideh (piatto nazionale persiano: riso in bianco, tuorlo d'ovo, burro, spiedino di carne di montone macinata con cipolla) della città, al miglior prezzo possibile, pochi rial, in mezzo a tante famiglie della piccola borghesia locale. E' lì anche lei, la bionda di prima, che conosce i proprietari, che si siede ad un tavolo comune e inizia a parlottare con i suoi vicini, compiendo il rito del giorno di festa, il venerdì. E poi si torna a casa. Domani si va in ufficio.
Genio, scusami, quando torni in servizio, mi dici cosa ci fanno i tappeti che quella  tale ha comprato, nel mio salotto? Non capisco, non ricordo...
Firuzeh




giovedì 7 maggio 2009

La lampada di Aladino

E' uno strumento prezioso, la lampada di Aladino...bisogna saperla usare, un pò come il computer, il web e...il resto. Ecco: bisogna trovare il modo di sfregarla, ma facendo uscire solo i ricordi degni di rivedere la luce. Cerco i comandi intorno alla bella e lucida lampada, quelli del 'cancella', 'torna indietro', 'salva', etc, ma mi accorgo che non ci sono pulsanti apparenti. Devo fare di necessità virtù e scoprirli a poco a poco dentro di me, dove sono stivati per default. 
Nella cartella 'immagini' vecchie foto lontane. Ma come faccio a farle uscire dalla Lampada? Genio aiutami tu! Ecco la Somalia, Mogadiscio, l'albergo 'La Croce del Sud' (se il nome ricordato è quello esatto); la Casa d'Italia: stantia, un poco fané dove però le spremute di pompelmo erano superbe: un bicchierone di succo e del ghiaccio...mi dicevano di non far mettere il ghiaccio: poteva essere fatto con acqua non proprio pulita. Ma ho sempre messo il ghiaccio nel bicchiere e probabilmente ho formato tanti di quegli anticorpi che le mie gite in Marocco e altri posti del genere non hanno conseguenze... nefaste sulla mia salute.
Attenzione Genio: stai mischiando i ricordi: i boschi di eucalipto sono ad Addis Abeba!!! Dal residence della Salcost vedevo e odoravo l'eucalipto sotto le mie finestre e un giorno vicino al periodo del Maskal, da quelle finestre, dopo tante lacrime di dolore, me ne sono sgorgate alcune di serenità: ricominciavo a vivere con il sole, l'eucalipto e il suono della Pavane Opus 50 di Gabriel Fauré. Quel che vedevo quel giorno dalla finestra mi è rimasto impresso per tanti lustri, ma si era dissolto...per default? Grazie Genio per averlo fatto uscire dalla Lampada, ma ti prego, non far uscire l'immagine dell'amico scomparso...ho ancora bisogno di metabolizzare..nella speranza forse vana che ricompaia così come sono i miei ricordi. 
Firuzeh

lunedì 4 maggio 2009

Non è facile

Non è facile iniziare una nuova avventura in rete. 
Penso ai 'miei deserti', tutti quelli che ho conosciuto e dove sono stata...e dove andrò. Non sempre sono deserti di sabbia; sono anche deserti di sentimenti, di delusioni, di amarezze; cespugli con spine, come quelli che si trovano in Somalia vicino a Mogadiscio, che in un tempo assai lontano, ti riparavano dal sole, mentre qualcuno ti chiedeva se insieme al capretto volevi la spremuta di pompelmo (rosa) o il latte di cammella. Anni luce fa.
Andrò presto in un deserto che non conosco...per elaborare un lutto: un amico perduto. Da non credersi: oltre alla mia macchina fotografica (sperando di fare i miei soliti 'controluce': rubo la luce anche attraverso  i petali dei fiori) avrò un ipod per sentire la mia musica preferita, quella che mi calma. Sono passati anni da quando per la prima volta sono stata in un deserto: ora torno con maggiore maturità e consapevolezza e guarderò di notte il cielo...è qualcosa di eccezionale il cielo nel deserto...ma su questo  vi è tanto da dire. Sono emozioni vere e forti che ti fanno sentire realmente parte dell'universo. Devo ritrovare dentro di me queste sensazioni e farle uscire. E' un magma che ribolle e non vorrei scoppiasse...meglio le colate di lava con la 'sciara' di fuoco. Firuzeh ha gli occhi azzurri e un giorno in Yemen, a Sana'a, un bambino piccolo chiese al padre 'cosa' fossi: non aveva mai visto una donna bionda con occhi azzurri. Vedo ancora il suo faccino tra lo spaurito e l'incuriosito.  Adesso è un uomo e da tempo la televisione lo avrà messo in contatto con il resto del mondo. 
Nel deserto guarderò per ore dune e sentirò la voce rassicurante del silenzio o del vento. Meglio di cento aspirine o di venti gocce di bromazepam...e l'immagine dell'amico scomparso tornerà nella Lampada di Aladino, come il Genio. Cercherò di non sfregare più la Lampada di Aladino.
Firuzeh